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Ricette per il sorriso

COTTO E MANGIATO LA RUBRICA DI GIOIA MORICI

NON APRITE QUELLA PORTA

 

Ostia, 19 maggio 2017: Papa Francesco si presenta alle porte dei fedeli per benedire le loro case come un parroco comune. Leggo la notizia e mi chiedo se avrà suonato due volte come il postino. Poi mi immagino le reazioni di quei laziali che, con  la cornetta del citofono in mano, si sentono dire che dall’altra parte c’è il Pontefice: “Driiiin”.“Chi è?”. “Il Papa”. “Ma vaffanculo”. Oppure: “Toc toc”. “Chi è?”. “Francesco Primo”. “Sì…e io so’ Fracazzo da Velletri Secondo!”. O magari: “Dlin dlon”. “Chi è?”. “Francisco Bergoglio”. “Ah Peppì, smettila de fa’ er coglione e sali che è ora de pranzo!”. E qui mi torna in mente un episodio che mi è successo ai tempi dell’università, quando avevo ancora le energie, la voglia ma soprattutto il fegato per affrontare serate impegnative. Tirate fuori i popcorn perché è roba molto grossa.

Bologna, fine anni ’90. In compagnia di amici vado ad una di quelle feste in cui si fa baldoria come non ci fosse un domani né un dopodomani. Troppo provata per far ritorno a casa, decido di fermarmi a dormire da Valeria e Stefania, marchigiane come me, che abitano poco distante dal luogo dei bagordi. Quando ci corichiamo è tardissimo, adesso non ricordo esattamente l’ora, ma quelli erano tempi in cui si circumnavigava l’alba. Vi lascio immaginare in quale stato comatoso stiamo dormendo, quando, saranno a malapena le 9.30, suona il campanello. O meglio, il primo suono probabilmente neanche lo avvertiamo, tanta è la nebbia in corpo. Quasi certamente è il secondo che sentiamo, ma, ovvio, nessuna di noi ha intenzione di muoversi. Il terzo suono, decisamente più vigoroso, arriva invece bello nitido, ma rimaniamo comunque a letto: chiunque stia pigiando il campanello, non ottenendo risposta, prima o poi se ne andrà. Purtroppo non immaginiamo che aldilà della soglia c’è un tipetto ostinato, il quale, dopo breve pausa di riflessione, decide di attaccare il dito al bottone per un tempo indeterminato. Un suono unico, lunghissimo, insostenibile, di quelli che perforano i timpani e raggiungono direttamente il cervello. La mia amica Valeria, dopo tanta sfacciata insistenza, non ci vede più dai nervi: con scatto rabbioso si catapulta verso la porta, riempendo minuziosamente il tragitto dei peggiori improperi: “MA SE PUÒ SAPE’ CHI CAZZO È CHE ROMPE I COJONI DE PRIMA MATTINA?? E SÒNA ALLA FREGNA DE MAMMETA CHE LÌ C’È TRAFFICO, BRUTTO TESTA DE CAZZO CHE NON SEI ALTRO! MA VATTE AFFADANTELCULO TE E QUELLA ZOCCOLA DE TU’ SORELLA…PORCA MADOSCA IMPESTATA CULAROTTA!”. E via andare con frasette così, in cui l’epiteto più mite è “vammoriammazzato”. Dopo tale crescendo di insulti da scaricatore di porto, urlato a pieni polmoni affinché venga chiaramente percepito dal pianerottolo, Valeria arriva all’ingresso dove, in preda ai fumi dell’ira, commette un errore madornale: non controlla lo spioncino. Per cui, nel bel mezzo di un “vaffanculo” gigante, spalanca l’uscio e chi si trova davanti? IL PARROCO PER LA BENEDIZIONE PASQUALE. Vado ora ad illustrarvi la mise con cui Valeria si presenta al cospetto di un Pastore della Chiesa: maxi maglia di cotone fucsia (sporca) con la scritta “PORCAhontas”, nessun pantalone del pigiama, mutanda a pacca-persico delle migliori occasioni, capelli sbaruffati con residui di vodka sparsi, trucco sbavato tipo Panda del Nepal. Silenzio agghiacciante di alcuni interminabili secondi dopo il quale, a orecchie molto basse, Valeria viene a implorarci di raggiungerla in soggiorno, dove tutte e tre ci ritroviamo con lo stesso aspetto da mignottoni moldave, aggravato da gravi difficoltà cognitive, motorie e sensoriali. Il prete, per niente scoraggiato dall’essere di fronte alle figlie di Satana, come un novello martire della Fede, vuole comunque benedirci. Piccolo (si fa per dire) particolare: in quel soggiorno la sera prima abbiamo celebrato il compleanno di tale Federica, per cui in giro c’è di tutto: bottiglie di alcolici, cibo avanzato, piatti, stoviglie e bicchieri sporchi, nonché il “delicatissimo” regalo alla festeggiata: un cuscino gigante su cui è disegnato un albero dalle evidenti allusioni falliche e lo slogan SOGNI D’ORO COL TRONCHETTO DELLA FELICITÀ. Umili peccatrici in evidente flagranza di reato, cerchiamo (assolutamente invano) di darci un contegno con ‘sto foglietto delle preghiere in mano, mentre il prete ci cosparge il capo con energiche spennellate di acqua santa a mo’ di esorcismo. Poi, nel bel mezzo di un Padre Nostro, troviamo il coraggio di alzare gli occhi dal pavimento, ci guardiamo e, dopo qualche spernacchiamento mal trattenuto, esplode una fragorosa, sguaiata, incontenibile risata. Avete presente quelle risate in cui ti accartocci perché ti fanno male le budella e ti devi tenere la pancia mentre ti scendono le lacrime? Appunto, una roba dirompente così, tanto che il povero sacerdote è costretto a porre velocemente fine al rito e andarsene (amen), mentre noi rimaniamo ancora a lungo distese sul pavimento a ridere.

Ecco, a distanza di oltre vent’anni, oltre che rendermi conto che quel silenzio mortificato di Valeria è una delle cose più divertenti che abbia mai udito in vita mia, colgo l’occasione per dire a tutti gli operatori religiosi all’ascolto (Papa incluso) che, dopo un paio di scampanellate al massimo, è decisamente opportuno ritornare in parrocchia.

LA RUBRICA È FINITA, ANDATE IN PACE E BEVETE CON MODERAZIONE (“MODERAZIONE” CHI??).

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