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Jesi

COTTO E MANGIATO LA RUBRICA DI GIOIA MORICI

MEZZOGIORNO DI CUOCO

Martedì per pranzo, dopo un secolo di astinenza, mi sono fatta i tortellini con la panna. Si sono concessi a me con incredibile languore fumante sotto una scatafalcata di parmigiano…ed è stata libidine totale. Se me facevano ‘na foto mentre magnavo, parevo Santa Teresa in estasi…ma la mia era più che estasi: era ascesi mistica, era esperienza extracorporea, era viaggio astrale nella quarta dimensione. Quando sul finale ho infilzato la forchetta direttamente nella pentola, credo di aver visto pure la Madonna. Ero così felice che, ve lo giuro, mentre masticavo goderecciamente, ho pensato: “Beh, ecco una cosa che, quando sarò nell’aldilà, mi mancherà a bestia”. Perché, diciamocelo, le cose per cui vale davvero la pena vivere si contano su una mano. E per quel che mi riguarda, insieme alla musica, al mare, a certi tramonti d’estate e a un bel Negroni fatto come si deve, nella top-five ci stanno i tortellini con la panna. Sì, insomma, magna’ è ‘na gran cosa. Ne siamo tutti dipendenti e la tv lo sa benissimo, perché sul cibo ci costruisce interi palinsesti. Se non l’avete ancora fatto, vi consiglio vivamente di vedere il programma di Alessandro Borghese in cui “Quattro Ristoranti” si battono per il titolo di miglior locanda della città. Lo dovete guardare non tanto per le ricette, ma perché si raggiungono vette di altissima comicità. La puntata più esilarante? Senza dubbio quella girata a Roma con gli avventori di trattorie storiche che si sono giudicati l’un l’altro a suon di piatti tipici della tradizione. Vado a rendervi edotti. È la prima inquadratura e già si disquisisce di cacio e pepe con una solennità che manco Rita Levi Montalcini a una lezione di medicina molecolare. Il meglio arriva quando i concorrenti si siedono a tavola. Tra foto autografate da Mario Brega, Franco Califano e Francesco Totti, dopo una capillare lettura del menù, partono subito le provocazioni in marcato accento romanesco: “Ahoo, a me me fai ’na carbonara, però me raccomanno: guanciale e pecorino, nun me ce mette ‘a pancetta che quella se ‘a magnano l’americani…aho, e nemmanco er  parmiggiano che da noi nun ce stanno ‘e vacche ma ‘e pecore, nun te ‘o scorda’…intesi??”…“Io so’ indeciso tra i rigatoni co’ a pajata, ‘a coda aa vaccinara e ‘a coratella co’ i carciofi…ma pio l’abbacchio brodettato perché vojo proprio vede’ come ‘o fai!”…“Ah, io nun c’ho dubbi, perché è qui che se vede si sai cucina’ romano: a me me fai…(pausa di sospensione, occhio a fessuretta e voce con l’eco tipo far west)…N’AMATRICIANA”. È guerra aperta. Dopo alcuni minuti di trepida attesa escono i piatti. Il Clint Eastwood pro- Amatrice inforca i bucatini, ne pappa un bel boccone, poi, come avesse visto Satana, sgrana gli occhi, lascia cadere la forchetta e – oltraggiato, schifato, scandalizzato – esclama: “Aho, nun famo scherzi eeeh…qua c’è ‘a cipolla…ve dico che c’è ‘n pezzo de cipolla!!”. Gli altri sbiancano, inorriditi. Il gestore, mortificato: “No, guarda, nun è possibile, te stai a sbaja’…nun c’è ‘a cipolla…nun po’ esse…”. Quello insiste: “Ah cosetto…te dico che questa È CIPOLLA!”. Quindi infilza un pezzettino minuscolo di qualcosa dal sugo e lo sventola sotto le lenti di Borghese, come a dire: “Guarda te, che sei chef, se sto addì ‘na fregnaccia…”. Borghese assaggia e perentoriamente, salomonicamente, imperturbabilmente sancisce: “In effetti è…cipuolla” (Borghese quando parla c’ha sempre ‘ste vocali un po’ ad minchiam). Il proprietario del ristorante, raggelato dalla sentenza, sibila un “Scusate n’attimo eh”, quindi si volta e, seguito dalla telecamera, a passo spedito entra dritto in cucina per chiedere ragioni alla cuoca, che poi sarebbe la madre. “AAAH MAAAA’! – l’urlo raggiunge i 7 milioni di decibel mentre le porticelle da saloon gli si chiudono dietro le spalle – MA CHE PER CASO HAI MESSO ‘A CIPOLLA NELL’AMATRICIANA??”. La madre, co’ la scoppoletta in testa e lo sguardo trucido, una a cui, se vede, nun je devi caca’ er cazzo, mentre rigira il pollo coi peperoni nel tegame, co’ n’occhiataccia degna der Monnezza, ribatte impunita: “Sì, ce ‘o messa, perché a me me piace…VA BBENE??”. La scena si blocca tipo Matrix, lui la fissa come a dire: “Tu m’hai adottato, nun so’ fio tuo…”. Poi la genitrice sorride, st’omone se slanguidisce e in punta di piedi, sobriamente, quasi sottovoce quando un giorno – vista l’ora – è appena finito e un nuovo giorno è appena cominciato (cit. Marzullo) così sigla la puntata: “Eh, ma me ‘o dovevi di’ prima…m’hai fatto fa’ ‘NA FIGURA DEMMERDA!”. Ecco, sulla scia di questa compostezza romana, in onore alla gricia, che Dio la benedicia, vorrei dire a tutti quelli che consigliano frutta secca per spezzare la fame: MA ANNATEVENE AFFANCULO. E con questo ho concluso. Cordiali saluti. Buonasera.

(Gioia Morici)

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