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SOTTO ‘ E LOGGE “LA FESTA DELLA DONNA”

logge8 Marzo, Festa della Donna. E allora se celebrassimo anche noi cuprensi le nostre donne?

A ben pensarci ne abbiamo di notevoli che meritano un giusto posto nella memoria collettiva del paese; basta pensare solamente alle nostre educatrici, le nostre maestre che ci hanno preso in consegna da mocciosi e ci hanno riconsegnato alla società più sfrontati e più maturi.
Se facciamo un piccolo sforzo di memoria riusciamo anche a ricordare il tono delle loro voci quando ci inculcavano i primi rudimenti del sapere, un’impresa niente affatto facile vista la quasi impermeabilità delle nostre teste, tutte protese
ai giochi e ad altri interessi!
Quanti nomi vengono alla mente, ognuno con la sua peculiarità: la maestra Annibaldi, alta e seriosa, la severa maestra Elia Fazi, ed ancora la maestra Lina Federici, la Maestra Tosella nota per la disciplina che riusciva ad ottenere, la maestra Gara, la maestra Merina, la maestra Cecilia Tesei che limitava gli orizzonti dei suoi allievi spesso confinandoli dietro alla lavagna e tante altre che al momento mi sfuggono ma che sicuramente torneranno in mente a chi legge magari in virtù di qualche meritata “tiratina d’orecchie”.
Come non ricordare, per i frequentatori dell’asilo delle “monniche”, madre Fernanda, madre Leopoldina e suor Carmelita dalla splendida voce? Sempre nell’ambito delle suore ma di un altro ordine non vi suona familiare il nome di suor Stella e quello di suor Genoveffa? Veri angeli di pietà si sono prodigate nel nostro Ospedale, coadiuvando il Dott. Luzzi in corsia, al pronto soccorso od in sala operatoria con consumata perizia.
Quando si fa un elenco di nomi, si rischia quasi sempre di dimenticarne qualcuno ed allora è meglio andare per categorie: le filandaie , costrette a turni massacranti di lavoro senza essere sgravate dal peso della famiglia , costrette a stare per ore ed ore con le mani immerse nell’acqua bollente per sfilare i bozzoli, fino ad avere le pelle quasi lessata e piagata; le corriere,che con il loro minimo commercio riuscivano a garantire la sopravvivenza della famiglia.
Viaggiavano in treno durante la notte con il loro baule di legno carico di provviste da scambiare nella capitale con famiglie, gestori di ristoranti e trattorie. Portavano il loro eccessivo carico di pollami, conigli, olio, vino, formaggi, insaccati, con la dedizione perché dal loro smercio dipendeva spesso la sopravvivenza dell’intera famiglia che gravava sulle loro non sempre robuste spalle.
E non tornavano di certo scariche perché portavano a casa pane secco e vestiti vecchi da rammendare e da rendere ancora decorosi addosso ai figlioli. Erano sempre pezze al culo ma portate con orgoglio, esibite senza vergogna perché le sapienti mani della madre le aveva ricucite.Ed il riposo? Se erano fortunate riuscivano a rubare qualche momento di sonno sui duri sedili di terza classe del treno Roma-Ancona che pietosamente nel suo andare sferragliante le cullava quasi con amore e rispetto.
Solitamente questo era un mestiere a cui si dedicavano per lo più gli uomini perché era facile ritrovarsi derubati dello scarso e sudato guadagno ma le nostre donne ottimisticamente accettavano il rischio.
Una canutissima Checca “de u Mulinaru” mi ha raccontato il disagio e lo stress di questi viaggi che non finivano mai perché erano sempre pronti a ricominciare il giorno dopo.
Chi si ricorda di Nena “a fabbrianesa” che girava tutte il paese, periferia compresa, con la sua carriola piatta carica di pesce la cui freschezza e bontà declamava a gran voce fino a ritrovarsi con la voce roca la sera?
E Marì de Borchiò la ricordate? I suoi pesci fritti nell’olio non proprio limpido perché usato più volte avevano un profumo ed un sapore ineguagliabili (o era l’appetito e renderli unici!) e la sua bancarella era la prima ad esaurire la merce perché pubblicizzata dal profumo che olezzava in cielo come un incenso stuzzicando gli appetiti.
I più grandi di voi facciano mente locale al loggiato comunale di qualche decennio fa : ecco un’altra figura notevole di donne nostrane, “a Peperina” con la sua bancherella fatata essa governava sulle fave e becche, sulla liquirizia in spirali, in bastoncini ed in radice oppure in scatolette rotonde indiscrete ad ogni movimento. Caldarroste e carrube completavano la ricca (ai nostri occhi) mercanzia che proponeva per pochi soldi.
Accanto e queste figure note a tutto il paese, non possiamo dimenticare le spose dei nostri emigranti, che nonostante i sacrifici dei loro congiunti espatriati si adattavano ad una vita grama e ricca soltanto di stenti e sacrifici per tesaurizzare quel poco che essi potevano permettersi di far arrivare a casa.
Quante figure di donna potremmo e dovremmo festeggiare noi cuprensi, tantissime e con orgoglio, sicuramente in ogni casa!
Buon 8 Marzo a tutte le donne di Cupra specialmente a quelle che sicuramente ho dimenticato di citare!
(Pietro Anderlucci)

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