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BELVEDERE O. Casa Protetta, Tassi: «Nessun contagio, ci siamo blindati subito»

La determinazione e la fermezza hanno fatto la differenza. All’inizio i familiari degli ospiti hanno protestato rivolgendosi al Sindaco 

BELVEDERE OSTRENSE, 25 aprile 2020Fortuna, prevenzione, rigore, determinazione, fermezza nelle decisioni.

Il Covid è rimasto lontano dalla Casa protetta di Belvedere Ostrense, dove sono ospitate 46 persone non autosufficienti e 10 autosufficienti.

Giuseppe Tassi

Non è una vera Rsa perché non dispone della presenza e del presidio medico h24 ma tuttavia si avvale della consulenza del medico di famiglia, il dott. Flamma che è anche il presidente della struttura.

Il dott. Flamma ha l’ambulatorio nello stesso stabile con ingresso autonomo in quanto medico di famiglia anche per gli assistiti di Belvedere.

All’interno della Casa protetta oltre agli ospiti fissi ci sono 5 infermieri, 25 Oss, 3 addetti alle pulizie.

Poi  Giuseppe Tassi, che dirige e organizza.

A gestire e amministrare la Casa protetta di Belvedere Ostrense la Fondazione “Opera Pia Verri  Bernabucci  – Uccellini  Amurri”

Tassi, fino ad oggi nessun caso di ospite positivo, quali misure avete adottato?

«Non è stato né facile né semplice e mi reputo fortunato. Abbiamo limitato subito gli ingressi agli esterni e ai familiari già da fine febbraio. Siamo stati determinati e.abbiamo addirittura deciso di chiudere sospendendo le visite e preservandoli da ogni contatto. Come era prevedibile sono sorte immediatamente delle contestazioni. La protesta è arrivata fino al Sindaco di Belvedere al quale i familiari hanno affermato che la Casa di riposo era diventata un lager, una prigione. In seguito poi hanno capito, lo spero, ma adesso sono tutti contenti di come ci siamo mossi. Le precauzioni che abbiamo preso si sono rivelate giuste»

Avevate disposizioni precise?

«Attendevamo indicazioni da parte dell’Asur o della Regione che non ci sono state. Quando è scoppiato il caos anche noi siamo stati presi dal panico. In quel periodo si era verificato pure qualche caso di ospiti con febbre. Poi le notizie non positive che giungevano da San Marcello e Cingoli dove si erano verificati casi di ospiti deceduti ci avevano fortemente preoccupato».

Avevate dispositivi di protezione individuale a sufficienza?

«Assolutamente no e tutto il personale era preoccupato. Eravamo sprovvisti sia di mascherine che di guanti. Qualcosa c’era ma poca roba. Personalmente ho portato la stessa mascherina chirurgica anche per oltre dieci giorni consecutivi. In seguito siamo riusciti a reperite mascherine. In questi giorni ad esempio abbiamo mascherine ma non abbiamo guanti».

Chi vi rifornisce?

«Tutto viene distribuito dalla Protezione Civile. Già tre volte sono stato a Jesi nella sede dell’Asp, punto di riferimento della Protezione Cvile, per prendere il materiale per le Case di riposo. Alla nostra struttura, ad esempio, servirebbero circa 800 paia di guanti al giorno».

Le attività all’interno proseguono regolarmente?

«Per l’assistenza infermieristica e tutelare da parte delle Oss abbiamo dovuto aumentare le ore. Prima la presenza dei familiari sopperiva ad alcune attività come ad esempio durante la somministrazione dei pasti poi con la circolare che ci obbligava a tenere a distanza le persone l’organizzazione è stata modificata e non tutti ora mangiano nel salone ma diversi lo fanno nelle proprie stanzette. Per la pulizia le ore sono state raddoppiate in quanto adesso igienizziamo tutti i giorni le camere, le porte, le maniglie».

Gli ospiti come passano la giornata?

«Molte iniziative abitudinali sono state cancellate. La fisioterapia continua a essere fatta tutti i giorni e due pomeriggi la settimana. Un ragazzo che veniva il lunedì per una sorta di intrattenimento musicale ora non viene come il parroco che una volta al mese celebrava la messa nei locali interni e così il diacono che veniva tutti i giovedì per distribuire la comunione e far pregare in gruppo. Certe attività le faccio io adattandomi. Suono la chitarra e cerco di far passare qualche ora in allegria».

Come reagiscono, hanno capito la situazione?

«Lo abbiano spiegato, l’hanno capito. Molti guardano la televisione, sentono le notizie, e hanno accettato il momento».

Quando vi hanno visto con la mascherina?

«Ridendoci sopra siamo riusciti a far passare il messaggio. Abbiamo detto loro che venendo da fuori potevamo avere una forma influenzale ed essere contagiosi. Ci hanno riso sopra e accettato. Una signora stava telefonando in salone con la figlia. Sono arrivato io con la chitarra. Ha chiuso subito la conversazione dicendo alla figlia: ti saluto arriva Peppe con la chitarra qui si inizia a cantare ho altro da fare. Anche l’assenza dei familiari è stata accolta bene».

Cosa canti?

«Loro cantano, sono tutti coinvolti: “Un bacio a mezzanotte”, “Volare”».

E voi come vi proteggete?

«Siano tutti con la mascherina. All’ingresso della struttura abbiamo messo un prodotto igienizzante e un quaderno. Chi entra si misura la febbre, scrive il proprio nome. I dipendenti sono tutti allertati: se hanno tosse e febbre devono comunicarlo e restare a casa».

Sin dall’inizio dunque una situazione in perfetto controllo?

«Fino ad oggi siamo senza virus. Speriamo di continuare così. Siamo anche fortunati ad avere un ingresso con portico posteriore all’edificio e i fornitori usufruiscono di questo e scaricano. La merce resta fuori per alcuni giorni perché a un certo punto si era sparsa la notizia che il virus si poteva annidare sul cartone ma durava poche ore. Noi abbiamo adottato anche questo accorgimento. Ti confesso che ci vuole anche fortuna».

In che senso?

«Abbiano chiuso il 5 marzo. Il 14 era il periodo clou. La sera, era un sabato, alle 20 mi chiama una infermiera di turno. Mentre stava distribuendo i farmaaci serali ha trovato una ospite a terra, caduta. Allertata la Croce Gialla di Morro D’Alba subito sul posto. Nel mentre preparavano la fotocopia della cartellina clinica della donna, l’infermiera si è accorta che la stampante era senza toner. Senza cartellina non potevano portarla al pronto soccorso di Jesi. Non aveva l’accesso in ufficio per prendere un toner nuovo. Sono corso sul posto per verificare la situazione e anche per fornire il toner all’infermiera. La donna sta sulla sedia a rotelle, è autonoma, vuole fare tutto per proprio conto ed è prima in tutto: alzarsi la mattina, andare a mangiare, andare a letto: lucida, solo penalizzata dalle gambe che la costringono appunto sulla sedia a rotelle. Aiutata a rialzarsi si è ripresa e seduta. In un attimo ho valutato la situazione decidendo di non mandarla al pronto soccorso prendendomi la responsabilità. Ho pensato: per tutta la notte sta lì, può venire a contatto con qualcuno che la infetta, ritorna magari contagiata e poi? Ho avuto fortuna! Se non si fosse finito il toner la signora era partita per Jesi».   

Evasio Santoni

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