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BELVEDERE O. Ostetrica in Sierra Leone, Elisabetta torna a casa: «Esperienza unica»

Due lockdown causa pandemia e un anno di servizio per “Medici con l’Africa Cuamm”

BELVEDERE OSTRENSE, 10 maggio 2020 – Ha fatto rientro in Italia da una manciata di giorni, Elisabetta Ragaini, 32 anni, di Belvedere Ostrense, dopo un anno di servizio al Princess Christian Maternity Hospital, la più importante maternità della Sierra Leone.

Ostetrica di professione, Elisabetta è partita con la Ong no profit Medici con l’Africa Cuamm, la più grande organizzazione italiana per la promozione e la tutela della salute delle popolazioni africane, intervenendo anche in situazioni di emergenza, per garantire servizi di qualità accessibili a tutti.

Elisabetta Ragaini al centro

Medici con l’Africa Cuamm si impegna nella formazione in Italia e in Africa delle risorse umane dedicate, nella ricerca e divulgazione scientifica in ambito tecnico di cooperazione sanitaria, nell’affermazione del diritto umano fondamentale alla salute per tutti, anche dei gruppi più marginali, diffondendo nelle istituzioni e nell’opinione pubblica i valori della solidarietà e della cooperazione tra i popoli, della giustizia e della pace.

Elisabetta adesso è in isolamento fiduciario per 14 giorni, come tutte le persone che rientrano in Italia dall’estero per via dell’emergenza sanitaria da Covid-19.

«Parti col bagaglio vuoto ma al rientro è stracolmo»

«Partire non è mai semplice ma si aprono sempre nuovi orizzonti: sfide umane e professionali importanti. Quando parti hai un bagaglio vuoto che diventa stracolmo di esperienze e incontri importanti quando rientri a casa».

Elisabetta era già stata in Africa, in Tanzania, aveva lavorato in ospedale con l’associazione “Gocce” di Bologna.

«La Sierra Leone è una realtà molto diversa dalla Tanzania: l’Africa, ovviamente, non è tutta uguale. Quando sono arrivata nella struttura di Freetown ho fatto i conti con una situazione che non mi aspettavo: la mancanza di acqua in sala parto. In questa struttura avvengono circa 24 parti al giorno, 8.300 all’anno. La sala parto è piccola e vi lavorano sei persone contemporaneamente. La mancanza di acqua non garantisce un’adeguata igiene sia per lo staff che per le pazienti. Questa situazione mi ha fatto arrabbiare: ho dato voce alla frustrazione di tutto il personale e anche grazie all’organizzazione Cuamm siamo riusciti ad acquistare l’acqua per riempire i tank della struttura».

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Elisabetta Ragaini a sinistra

Una realtà molto complessa quella che Elisabetta ha conosciuto in Sierra Leone dove ha lavorato presso la struttura sanitaria.

«Credo sia importante lavorare anche a contatto con le comunità, con le donne, su aspetti importanti come l’educazione sessuale, l’igiene, la consapevolezza dei loro diritti e dei loro corpi. Come ostetrica penso che questo potrebbe essere uno dei percorsi da intraprendere con le comunità locali».

Poi dopo un anno, il rientro ma «ci si affeziona sempre, grandi pianti, mi sono portata a casa tanti ricordi, molti visi di tutte quelle persone che ti hanno dato fiducia nonostante io sia stata un’ospite. Ho percepito molta empatia dalla comunità: sono entrata in punta di piedi, le persone hanno capito che se mi trovavo lontana da casa era per un motivo, per questo si sono fidate e mi hanno sempre trattata con rispetto».

Elisabetta Ragaini medici Africa Cuamm Sierra Leone

Due lockdown per la pandemia Covid

«La Sierra Leone come la Guinea e la Liberia è tra i Paesi più colpiti dall’ebola e la popolazione ha quel retaggio. La struttura è stata sanificata, il personale formato adeguatamente per fronteggiare l’emergenza. il Cuamm aveva organizzato una tenda solo per le donne in gravidanza e per le neomamme, dove le infermiere/ostetriche facevano un primo triage alle pazienti che presentano sintomi da Coronavirus e qui venivano trattenute se erano “casi sospetti” fino al momento del risultato del tampone. L’attenzione in Sierra Leone è elevata: ci sono stati due lockdown, certo è che nelle zone più popolose è difficile tracciare la diffusione del virus. Va detto comunque che l’età della popolazione africana è molto giovane e anche che le condizioni igienico sanitarie in alcune zone sono scarse. L’ebola condiziona ancora, molti hanno paura: una donna in gravidanza è entrata dal cancello dell’ospedale ma non ha voluto partorire dentro perché temeva il contagio da coronavirus. Solo successivamente è stata portata con il suo bambino appena nato al pronto soccorso».

Eleonora Dottori

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