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CINGOLI TITO LABIENO SI AFFACCIA DAL BALCONE DELLE MARCHE

Prima dello scoprimento del monumento, si è svolta una lezione sul fondatore della città a cura del professor Gianfranco Paci. Saltamartini: «Cittadinanza onoraria a Rocchetti»

CINGOLI, 5 maggio 2019Ora Tito Labieno si affaccia dal Balcone delle Marche. Oggi, 4 maggio, infatti, è stata inaugurata la statua al Luogotenente di Giulio Cesare e fondatore della città, realizzata dall’artista Nazzareno Rocchetti su mandato dell’Amministrazione Comunale.

La Statua di Tito Labieno

Erano presenti all’evento il sindaco di Cingoli, dott. Filippo Saltamartini, il Questore di Macerata, dott. Antonio Pignataro, la dirigente della Squadra Mobile della Polizia di Stato di Macerata, dott.ssa Maria Raffaella Abbate, il Comandante Provinciale dell’Arma dei Carabinieri, Col. Michele Roberti, e la Prima Cittadina di Staffolo, Patrizia Rosini. Sono intervenuti anche gli studenti del Liceo Linguistico e delle Scienze Umane di Cingoli, guidati dalla vice-preside, prof.ssa Giuseppina Turchi.

Alle ore 10.30, prima della cerimonia di scopritura del monumento, si è svolta la lectio magistralis su Tito Labieno presso l’Auditorium Santo Spirito, a cura del prof. Gianfranco Paci, docente emerito di epigrafia e di archeologia dell’Università di Macerata. Il direttore delle strutture museali cingolane, dott. Luca Pernici, ha introdotto l’evento.

Il primo cittadino di Cingoli ha fatto gli onori di casa. “Oggi – ha dichiarato – inauguriamo la statua al fondatore della nostra città. Ero in viaggio a Parigi, ed ero a conoscenza del fatto che Labieno avesse anche fondato l’Ile de Paris. Avevo incontrato Sarkozy e gli avevo proposto un gemellaggio Cingoli-Parigi proprio per questo, suscitando l’ilarità dell’allora Presidente francese. Inoltre, nel corso di un convegno in Germania, ho scoperto che i tedeschi ricordano il luogotenente perché aveva respinto i barbari al di là del Reno.

Saltamartini ha sottolineato l’alto valore del monumento. “La statua – ha aggiunto – è bella. Rocchetti ce l’ha realizzata gratuitamente. Il Comune ha pagato solamente i materiali. Il mio mandato sta per terminare, ma propongo a chi verrà dopo di me di pensare di conferire la cittadinanza onoraria all’artista. Ci fossero esempi di persone come lui.”

La parola è passata dunque a Nazareno Rocchetti. “Sono nato a Filottrano – ha dichiarato – ma negli anni ’80 vedevo Cingoli come se fosse Las Vegas. Per noi era una grande città, con un faro, con squadre di Serie A di calcio che venivano in ritiro, con una grande cultura. Qui ho conosciuto Mina e Domenico Modugno. Al sindaco sono abituato a dire le cose in faccia. La statua l’ho fatta perché era giusto dare un volto a Tito Labieno. Mi hanno redarguito per questo, ma mi sono preso la responsabilità. Cingoli merita di tornare ai fasti di un tempo, perché ha tutti i diritti per poterlo fare. Ci sono ingredienti interessanti, dalla cultura ai valori indispensabili per tutti noi. Le cose semplici sono quelle che la gente cerca. Vorrei tornasse l’amore.

Si è passati dunque al momento culturale. “Le testimonianze storiche – ha detto Pernici – sull’illustre cingolano ci arrivano dal 1600, con un dipinto su di lui di un autore ignoto destinato al Palazzo Municipale. Nel 1644, lo scrittore Orazio Avicenna, nel libro ‘Memorie della Città di Cingoli’ pubblica due medaglie dedicate a Tito Labieno, apocrife. In epoca fascista, il pittore cingolano Donatello Stefanucci raffigurò il luogotenente in un affresco nel vecchio Teatro Pio VIII, dedicato per un periodo proprio a Labieno. Quindi furono posizionate due lapidi all’ingresso di Cingoli, nel versante del Balcone delle Marche, dove sono ancoro incisi dei versi del ‘De Bello Civile’ di Cesare dedicati al fondatore della nostra città. Infine, a fine anni ’90 per il millenario della nascita (100 a.C.), il disegnatore Trubbiani dedicò un’incisione alla memoria dell’illustre cingolano.”

Da sinistra: Rocchetti, Paci, Pernici

E’ succeduto dunque l’intervento del prof. Paci, centrato sulla figura di Tito Labieno. “I Labieni di Cingoli – ha spiegato – sono collocati tra il II secolo a.C. al 12 d.C., ricordando 4 personaggi illustri, ovvero Quinto, Tito Labieno padre, Tito figlio (il luogotenente) e Tito nipote. Se ne sente parlare per la prima volta nel 63 a.C., quando Tito Labieno sta intentando una causa contro Rabirio, accusandolo di avere ucciso lo zio Quinto 37 anni prima (nel 100 a.C.). Cicerone, che ci riporta questo episodio essendo difensore dell’accusato, parla di questo episodio con ironia, poiché Tito era affranto per la morte di uno zio che non aveva mai conosciuto. In realtà, questo era un processo politico, poiché il cingolano, per compiere la sua scalata verso il potere, aveva avuto il mandato dei popolari.”

I ‘Labienus’, secondo le ricostruzioni storiche spiegate dal docente universitario, appartenevano al ceto equestre. Era una famiglia in ascesa, che faceva politica a Roma. Nello specifico, Tito Labieno era passato al ceto senatorio e stava arrivando ai livelli sociali più alti della società romana.

Il legame tra la famiglia e Cingoli sembra evidente da alcuni scritti di poeti e personaggi illustri dell’epoca. “Non ci sono prove epigrafiche – ha spiegato Paci – ma già Silio Italico, in un poema sulle guerre puniche, cita Labieno come ‘mandato dalle alte mura di Cingoli’. L’autore, nel 216, si era documentato. Giulio Cesare, infatti, nel De Bello Civili, parla di Cingoli come ‘centro abitato ristrutturato da Labieno’ da dove provengono soldati. Infine, l’antico nome della frazione Avenale era ‘Labienanum’: questo potrebbe significare che in quel territorio c’erano i possedimenti terrieri della famiglia.

Il prof. Paci ha poi parlato del rapporto tra Tito Labieno e Giulio Cesare. “Il cingolano era diventato senatore – ha chiarito – e successivamente Tribuno della Plebe, una carica iniziale della carriera che permette di approvare leggi e può mettere in crisi tutto il sistema. Uno dei primi atti che fa passare, infatti, è una legge sul Pontefice massimo, il quale da quel momento poteva essere eletto anche tra i politici popolari. Uno dei primi ad avvantaggiarsi di ciò è stato proprio Giulio Cesare, il quale nominò successivamente Labieno ‘Legatus Propetore’ intorno gli anni 60 a.C.”

La campagna in Gallia fu una svolta per la carriera politica e militare di Tito. “Il fondatore di Cingoli – ha raccontato Paci – era il braccio destro di Giulio Cesare, il suo luogotenente. Giulio Cesare affida a Labieno importanti contingenti di truppe al di là delle Alpi. Labieno è il suo uomo di fiducia, caratterizzandosi come uomo abile e d’azione, organizzatore della logistica degli spostamenti dei soldati. Non ci sono state raccontate le sconfitte, ma tra le vittorie si ricordano quelle contro i Belgi, gli Elvezi, i Treviri e quella a Lutetia, il vecchio nome della città di Parigi.”

Rosini, Rocchetti, Saltamartini, Pignataro e il Col. Roberti prima della scopritura

L’amicizia tra Giulio Cesare e Tito Labieno, tuttavia, ebbe un epilogo amaro. Paci ha infatti spiegato che, nel corso della guerra civile tra Cesare e Pompeo, il cingolano passò dalla parte avversaria. “Cicerone ci racconta – ha chiarito il professore – che i pompeiani furono stimolati dall’arrivo di Tito Labieno, definendolo ‘Heros’, ovvero eroe o semi-dio. Gli storici spiegano quest’evento in maniera contrastante, ma la mia visione è quella di Alfieri. Secondo lui, infatti, i Labieno erano una famiglia clientelare di Pompeo, quindi per coerenza, nello scontro tra i capi, ha preferito tornare agli orientamenti delle origini. Da quel momento in poi, Cesare non scrisse più del suo vecchio luogotenente.

L’interessante intervento del professore dell’Università di Macerata si è concluso con la spiegazione della creazione del Municipio a Cingoli negli anni 50 a.C., nel corso delle rivolte dei popoli dell’Italia Centrale. “I popoli dei territori posseduti da Roma – ha detto il professore – volevano aver riconosciuti gli stessi diritti dei romani, dato che avevano combattuto con loro per la conquista dell’impero. Al termine di una sanguinosa guerra, l’Impero concesse la cittadinanza a tutti i popoli italici. I territori marchigiani, tuttavia, non rientrarono in un primo momento in questa concessione. Labieno, però, sapeva che prima o poi la legge avrebbe incluso queste terre, così fece costruire di tasca sua a Cingoli edifici predisposti per il governo del centro abitato, come la Curia, la Magistratura e il Municipio. Fu più semplice, così, rendere città il Balcone delle Marche, dato che Roma sceglieva centri già idonei a diventare municipi.”

Le autorità hanno quindi raggiunto Via Balcone delle Marche, dove Rocchetti e il sindaco Saltamartini hanno scoperto la statua di Tito Labieno. Il Luogotenente, in armatura, ora sovrasta il panorama che rende famosa Cingoli in tutto il mondo. Il parroco Don Patrizio Santinelli ha imposto una speciale benedizione su tutti i presenti, dato che il monumento non poteva essere benedetto, poiché non rappresenta una figura religiosa.

Don Patrizio Santinelli impartisce la benedizione ai presenti

 

Giacomo Grasselli

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