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Cronaca

COTTO E MANGIATO LA RUBRICA DI GIOIA MORICI

LE CERQUE N’HA FATTO MAI LE MELARANCE

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Signor Direttore,
ci ascrivo pe’ dille tutta la mia stima e pe’ falle tante felicidazioni pe’ questo bel giornaletto, pieno de belle parole scritte fine fine e con molta dottoranza e tante figure e fottografie de la nostra cara Jesi, che io lo leggio sempre e volentieri e, ancò sci ho fatto le scole basse e non sono una perzona struita, capiscio nigosa e niente me pare lapposo.
Quanno invece che guardo la televisiò o leggio le riviste de’ mio nipode che è guasi laureado, mi ci si gira la zocca da quanto faccio fadiga di comprendonio, che a volte mi sembra di esse alfabeda peggio de mia moglie Nunziada, che apre la bocca pe’ dargli fiado e non capiscie nianco quanto sono lunga, ma tanto gli pare di capire nigosa a lia li stesso.
Pensi, Signor Direttore, che ha ripetudo la segonda elementare quattro ‘olte, tanto che il padre giù all’ultimo ci ha dato una bella crocchiada d’ossi, peresse su la schina, tanto era il nervoso de avecci una fija tanto svogliadissima pe’ lo studio, ma tanto non ci stava rimedio e si è dovudo rassegnare a mandalla a fadigare giù la filanda, che nemmeno un mestiere è stada capace de imparare, quella zoccona.
Del resto, come si sogliono dire, lustrissimo Direttore, le cerque n’ha fatto mai le melarance, e lei forze non sanno che mio sòcero ci aveva le mano grosse ma el cervello o qualsivolglia zocca nientaffatto, ma questo sono un antro paro di mànnighe e lassamo perdere che sci ce penzo a quante ‘olte quell’omo mi ha fatto gire a cappello co’ i suoi discorzi de politiga mi fa ancò un soquè e mi ci viengono su i calori.
Ma del resto che si pole pretenne da un contadino qualo era lù, che stera tutta la vida giuppe el greppo co’ il suo pertigaro e al massimo preparava il berone, ascusi la parola, per il porco?
Io, invece, ho fatto le scole fino a la quinta che, no pe’ vantamme, ho ripetudo solo una ‘olta, e poi so’ gido a bottega da un manoàle che mi facea ‘ndrizzare el fero e altre cose che non sto a dilungamme, ma almango non parlao con il porco o altre bestie medesime. Mi scusi la straparentesi.
Ma forze ci stera il causo che io arivi al punto de la discussiò, del motivo per lo quale io ci ascrissi questa mia antistante e ascusi la mia ignoranza grafica culturale per cui si deve contentare.
Lei mi dirà di sci, che cioè è ora scossa che io ci aspieghi lo scommmodo e che non ci doveo mannare questa bella letterina, e allora dove la mannavo? Inzomma, lustrissimo, viengo con questa mia a dacci una notizia che ci farà molto piacere.
Voleo auguralle tanti cari auguri de bone ferie e de un felicissimo Ferragosto a lei e a la sua famiglia, compreso quel bel donnone de sua moje che, ascusi sci me permetto, è un gran pezzo di bardascia che fa staccare la carne dall’ossi e modestamente, sci ce avevo qualche annetto de meno, ce faceo un bel penzierino, co’ rispetto parlanno.
Ce terrei ancò a ricordare che durante le feste, quando si sta in vacanza in mezzo a gente qualsivoglia, se dovrìa esse più riguardosi, perché con questa dugazione non si sa più indove mettere le mano. La morale indove la mettemo? E lo rispetto quanno glielo imparamo ai nostri figli? Quanno sono maggiori di diciotto anni che dopo no li tienghi più?
Per questo io la prego di pubbligare queste parole sincere e di non fare come quel tale che gli è capitada lì casa sensa preavviso la sòcera e mentre che la guardava dal bugo de la porta, gli nascea subbido el penziero: la faccio abboccare o la butto giuppe le scale?
Ecco: non mi tenghi su la porta de la redazione a guardarmi dal bugo ma mi facci abboccare, scindonga pole anche rischiare che questo bel giornaletto non ce lo compro più e anzi, ce pòle mette su el caldaro, ci fo un bel fogarò, co’ il quale ammò la saludo, a lei e ai suoi colleghi giornalai.

Il suo affezzionado lettore,
Ponzetti Armando (detto Tecedò).

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