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LEGAMBIENTE Il clima è già cambiato: l’impatto sui nostri centri urbani

Nuovo rapporto dell’Osservatorio CittàClima, una mappa dei territori colpiti dalla crisi climatica tra il 2010 e il 2020: nelle Marche 42 eventi estremi

ANCONA, 1 dicembre 2020 – Record su record, il cambiamento climatico non arresta la sua corsa e investe in pieno, con i suoi effetti più evidenti, i principali centri urbani di tutto il mondo: l’Italia non fa eccezione, come rileva l’Osservatorio CittàClima di Legambiente che dal 2010 a fine ottobre 2020 ha registrato sulla sua mappa 946 fenomeni metereologici estremi in 507 Comuni, con impatti suddivisi in categorie utili a comprendere il rischio climatico nelle diverse aree del territorio nazionale.

Fenomeni in costante crescita, come emerge dal Rapporto 2020 “Il clima è già cambiato”, presentato in un webinar organizzato da Legambiente e redatto con il contributo di Unipol, la collaborazione scientifica di Enel Foundation e arricchito dalle collaborazioni con Ispra, Legambiente Emilia-Romagna e decine di circoli locali.

Nelle Marche, nel decennio preso in considerazione, si contano 42 eventi estremi.

Sono 23 gli allagamenti da piogge intense, 12 danni da trombe d’aria, 3 episodi di danni consistenti a infrastrutture a causa del maltempo, 2 esondazioni fluviali, 1 caso di frana in seguito a forti piogge, 1 danno da siccità prolungata.

Pochi territori in Italia sono cambiati come quelli costieri della fascia adriatica tra Abruzzo, Marche ed Emilia-Romagna, che hanno visto un forte aumento della popolazione e del consumo di suolo.

Una delle conseguenze di questo fenomeno riguarda il crescente numero di allagamenti ed esondazioni fluviali che si sono verificate nel corso degli ultimi anni. Ad Ancona sono stati 22 gli episodi registrati dal 2010, con particolare frequenza in alcune aree della città: sulla costa, con 8 eventi collegati a trombe d’aria, e nei nuovi quartieri di Baraccola e Montedago, con 11 allagamenti da piogge intense. Da ultimo, il 30 agosto 2020, una violenta grandinata ha visto danneggiare numerose auto in sosta e finestre degli edifici. Il maltempo è stato portato anche da forti raffiche di vento, con danni e alberi abbattuti in diverse zone del centro storico di Montedago.

Sul fronte temperature, secondo l’Istat ad Ancona nel 2018 ci sono state +41 notti tropicali rispetto alla media 1971/2000, cioè notti in cui la temperatura non è mai scesa sotto i 20 gradi.

A Pesaro, il 10 giugno scorso, violente grandinate, temporali e vere e proprie bombe d’acqua hanno creato allagamenti, smottamenti e danni. Le piogge, via via sempre più intense, hanno causato notevoli disagi e danni come l’allagamento di sottopassi e garage. Improvvise grandinate hanno interessato sia la zona costiera, dove hanno imbiancato le spiagge, sia l’entroterra della provincia compresa la città di Pesaro dove si è assistito anche a notevoli disagi al traffico.

Nelle Marche, dal 1999 al 2009, sono stati realizzati ben 326 interventi per mitigare il rischio idrogeologico per un totale di 211 milioni di euro di investimenti.

Dato che, se riportato su scala nazionale, indica ben 3.946 opere portate a termine e costate 2.8 miliardi di euro. Lavori chiusi, terminati, che avrebbero dovuto ridurre il rischio nel nostro Paese. Da nord a sud non c’è una regione che non abbia concluso dei lavori “importanti” per la riduzione del rischio idrogeologico sul proprio territorio. Ma nonostante tutto, il nostro Paese sembra sempre inseguire l’emergenza.

I numeri del 2020

Soltanto nell’anno in corso, da inizio 2020 a fine ottobre, si sono verificati 86 casi di allagamento da piogge intense e 72 casi di trombe d’aria, in forte aumento rispetto ai 54 casi dell’intero 2019 e ai 41 registrati nel 2018. Ancora, 15 esondazioni fluviali, 13 casi di danni alle infrastrutture, 12 casi di danni da siccità prolungata, 9 frane da piogge intense. Legambiente sottolinea come ad aumentare siano gli eventi estremi che riguardano contemporaneamente anche due o più categorie e che gli episodi tendono a ripetersi negli stessi Comuni dove si erano già verificati in passato.

Sempre più drammatiche, in particolare, le conseguenze dei danni da trombe d’aria, che nel Meridione sferzano le città costiere, mentre al Nord si concentrano nelle aree di pianura. Più forti e prolungate le ondate di calore nei centri urbani, dove la temperatura media cresce a ritmi più elevati che nel resto del Paese. Tra i fenomeni estremi a maggiore intensità, anche quelli alluvionali, con quantitativi d’acqua che normalmente cadrebbero in diversi mesi o in un anno e che invece si riversano nelle strade in poche ore, seguiti sempre più spesso da lunghi periodi di siccità.

Cambiamento climatico: un’emergenza globale, quale piano per le città italiane?

Secondo il programma di osservazione europea Copernicus, il mese di settembre 2020 è stato il più caldo mai registrato in tutto il mondo. Nonostante i lockdown diffusi, inoltre, le concentrazioni globali di Co2 hanno ufficialmente superato la soglia di 410 ppm. A rischio la salute delle persone, tanto che il paper Valuing the Global Mortality Consequences of Climate Change Accounting for Adaptation Costs and Benefits, pubblicato ad agosto dal National Bureau of Economic Research, stima che le vittime legate all’aumento delle temperature globali arriveranno a eclissare l’attuale numero di morti per tutte le malattie infettive combinate del pianeta, se non si adotteranno misure per invertire la rotta.

Mentre secondo il Climate Risk Index di Germanwatch, tra il 1999 e il 2018 l’Italia ha registrato complessivamente 19.947 morti riconducibili agli eventi meteorologici estremi e perdite economiche quantificate in 32.92 miliardi di dollari. E a pagare le conseguenze maggiori, ancora una volta, saranno i più poveri, nel Belpaese come nel resto del mondo.

«Nel Rapporto 2020 di CittàClima abbiamo tracciato un bilancio degli ultimi dieci anni con numeri e una mappa aggiornata degli impatti nei territori – commenta Francesca Pulcini, presidente di Legambiente Marche –. Con questo lavoro vogliamo far capire quanto sia importante e urgente cambiare visione delle politiche, nazionali come regionali e territoriali, e soprattutto uscire dalla logica della gestione dell’emergenza e lavorare invece in prevenzione attraverso i piani di adattamento al clima. Il Recovery Plan deve rispondere a queste sfide, con risorse per l’adattamento e un cambio della governance che oggi non funziona. Cambiamento climatico e dissesto idrogeologico sono due facce della stessa medaglia. È evidente come qualsiasi pianificazione territoriale dovrebbe tenere in forte considerazione la componente climatica, che amplifica eventi naturali quali le frane e le alluvioni e si somma a una serie di fattori come consumo di suolo, impermeabilizzazione, espansione urbanistica, erosione costiera, conservazione delle aree naturali: tutti elementi che devono necessariamente rientrare in una logica di programmazione efficace».

Richieste e proposte di Legambiente

L’associazione chiede al Governo: l’approvazione immediata del piano di adattamento climatico; di rafforzare il ruolo delle Autorità di distretto e dei Comuni negli interventi contro il dissesto idrogeologico, con risorse per la progettazione e realizzazione degli interventi, l’assunzione di tecnici; che le aree urbane diventino la priorità negli interventi di adattamento al clima; norme più efficaci per adattare i territori agli impatti climatici e mettere in sicurezza le persone.

A quest’ultimo proposito, Legambiente ritiene che per uscire dal campo della contabilità dei danni e dei morti, occorra cambiare le regole d’intervento con un patto tra Governo, Regioni e Comuni, approvando una legge dello Stato che consenta di assumere decisioni non più procrastinabili per mettere in sicurezza territori e persone.

Dieci, secondo l’associazione, gli obiettivi che dovrebbe porsi il provvedimento di legge:

  • vietare qualsiasi edificazione nelle aree a rischio idrogeologico e in quelle individuate da
    Enea come aree di esondazione per l’innalzamento del livello dei mari;
  •  delocalizzare gli edifici in aree classificate a elevato rischio idrogeologico;
  •  salvaguardare e ripristinare la permeabilità dei suoli nelle aree urbane;
  • vietare l’utilizzo dei piani interrati per abitazioni;
  •  mettere in sicurezza le infrastrutture urbane dai fenomeni metereologici estremi;
  •  vietare l’intubamento dei corsi d’acqua e pianificare la riapertura di quelli tombati nel
    passato;
  • recuperare, riutilizzare, risparmiare l’acqua in tutti gli interventi edilizi;
  •  utilizzare materiali capaci di ridurre l’effetto isola di calore nei quartieri;
  • creare, in tutti gli interventi che riguardano gli spazi pubblici, come piazze e parcheggi, ma
    anche negli interventi di edilizia private, vasche sotterranee di recupero e trattenimento
    delle acque piovane;
  • prevedere risorse statali per mettere a dimora alberi e creare boschi urbani.

La conferenza di presentazione del Rapporto 2020 dell’Osservatorio CittàClima è il quinto di sette incontri tematici organizzati da Legambiente con istituzioni, imprese e associazioni per individuare le migliori proposte per il Piano nazionale di ripresa e resilienza che il Governo italiano dovrà presentare in Europa entro aprile 2021. I prossimi appuntamenti in programma sono il Forum QualEnergia sulla lotta alla crisi climatica e sulla mobilità sostenibile (2-3 dicembre) e la presentazione del Rapporto Ecomafia 2020 (11 dicembre).

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