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Cupra Montana Sergio Ramazzotti e il libro scritto nella neo lingua

L’autore, milanese marchigiano, ci presenta il suo giallo “Perdona loro” ispirato da luoghi e personaggi del territorio

Cupra Montana, 1 giugno 2022 – Da quassù arrivi con lo sguardo fin dove ti pare. Puoi accarezzare il mare, se vuoi, puoi scalare (scalare…) il San Vicino, perderti sulle strade sterrate che portano a Elcito dove, giurano, ancora girano di notte le anime dei briganti.

E, se vuoi spingere l’acceleratore sull’immaginazione, scorgere le dune dell’Africa, arrivare, magari, da Algeri a Città del Capo a bordo di mezzi pubblici, zaino in spalla e borsa con apparecchiatura fotografica, tredicimila chilometri, manca poco per il primo tagliando, un appuntamento con la propria voglia di avventura.

Sergio Ramazzotti, un milanese marchigiano, ha nell’album dei ricordi momenti di vita che si muovono sinuosi fra la savana e i pini dei nostri monti.

Sergio Ramazzotti

Sergio è un grande personaggio, ha compiuto imprese e creato reportage da ogni parte del mondo, perché quello è il suo mestiere, ha soccorso o sepolto amici e colleghi di lavoro che, come è accaduto a lui, non hanno avuto la fortuna di sentire “gli spari sopra”.

Ha pubblicato saggi e libri fotografici che raccontano a modo suo il mondo, un mondo che non vedremmo o conosceremmo mai se non attraverso le sue “storie”. Eppure è un milanese che ha generazioni di parenti, dai genitori in su, marchigiani.

Precisamente nati sulle sponde dell’Esino, coccolati dai Castelli di Jesi, dove qualche volta il tempo sembra essersi fermato e “quello che mangi non ha una data di scadenza”.

Un giorno decide di “divertirsi”: basta saggi, innamorato del nostro dialetto che da sempre ha riempito le stanze della sua casa, ha cominciato a ritornare spesso a Cupra Montana, per realizzare un libro sulla nostra “lingua”.

Capito?, lingua non dialetto.

Poi gli editori cui si era rivolto per la pubblicazione, hanno applaudito il suo lavoro di ricerca ma gli hanno suggerito di creare una storia, che raccontasse di personaggi e li facesse parlare nella lingua del padre. Meglio, poi, se un giallo.

Ramazzotti ha … ramazzato (sic!) nei silenzi, nei gesti e nella musicalità della lingua dei Castelli, si è accorto che non sono solo sciapate certi modi di dire, anzi, affascinano e li collocano in un contesto ideale e allora si inventa, si fa per dire, la storia di un prete che scompare, quella di uno scrittore che cerca pace e serenità per rilassarsi fra le colline, con uno o più verdicchi nel bicchiere, anche il Varnelli, dai, che cercherà di scoprire che fine abbia fatto il prelato.  

«Ho scritto un giallo soprattutto perché volevo venire a patti e completare un processo di metabolizzazione di esperienze che, spesso e volentieri, sono state esperienze traumatiche, penso al mio viaggio in Svizzera per accompagnare un uomo che andava a morire, e con lui ho trascorso le ultime 48 sue ore di vita sulla terra e che ho raccontato nel mio libro “Su questa pietra”, penso all’epidemia di Ebola in Africa fra il 2014 e il 2015, e tante altre storie vissute in prima persona. Non posso dire di essermi “divertito”, non ho mai preso la mia attività con leggerezza, attività in qualche modo catartica, quasi con una certa valenza terapeutica. Comunque non divertente».

«Oggi, per una volta, ho voluto scrivere in libertà dei luoghi che amo, che sono i miei luoghi del cuore, per divertirmi, per vedere se riuscivo a ridacchiare mentre scrivevo. E’ stato esattamente così, mi facevo delle pazze risate. La cosa stava funzionando. Proprio perché è partita dalla lingua. Non rinnego la mia milanesità, vedi un po’, però è anche vero che più passano gli anni e più forte sento il richiamo delle radici, che sono molto profonde. E il dialetto, la lingua, che ha bisogno di essere capita e interpretata… ti sembra di aver compreso tutto ma non è vero. La ricchezza delle espressioni è straordinaria. No, non è un’operazione alla Camilleri, non pensarci proprio, ho solo tentato di scrivere in un italiano marchigianizzato o viceversa, se vuoi».

E i personaggi sono in parte reali…

«Sono tutti dotati una grande personalità e potenza umana, a Milano non credono che possano esistere luoghi e gente come quella che ho descritto e raccontato io. Ci sono storie meravigliose, che ho ascoltato in tanti anni di frequentazione e di ritorni alle radici, frequentazioni che – in verità –  sono diventate sempre più assidue, negli ultimi anni. Credo ne sia scaturito un affresco di luoghi, persone, che si esprimono in una, chiamiamola “neolingua”, che è piaciuta e ha incuriosito editori e lettori. Ho studiato e sciacquato i panni in Esino, sudando mille camicie per trasporre tutti i personaggi nella trama del giallo». 

Il tuo alter ego, cioè Neri, è un giornalista che cerca la pace fra le nostre colline, e crede di trovarla a Scisciano, una frazione del Comune di Maiolati, ad un palmo da Cupra Montana. E poi succedono i fatti di nera che lo coinvolgeranno fino alla fine. E tanti personaggi, dicevamo, sono lì, vivi e vegeti…

«Li ringrazio alla fine del libro, come don Marco Cecconi, don Maurizio Fileni e don Giovanni Rossi. Iolanda Giampieri e Donatello Quaresima, nei confronti dei quali ho un debito che non potrò mai ripagare. Con loro, Daniela Quaresima e Alessandro Bonci, Mauro Perticaroli, autore del “Vocabolario del dialetto di Cupramontana”. Sì, una lingua vera e propria, e per descrivere la meraviglia di questi posti fra il Monte San Vicino e il mare, dove si lavora duro, non c’è solo la cartolina delle vacanze, uno dei miei personaggi li definisce “Un idilliaco buco di culo”. Perché saranno posti frequentati da personaggi improbabili, dall’artista folle al parroco doppiogiochista per citare due soli, ma è la verità».

Il libro è dedicato alla nostra terra, e chi non lo legge “possi morì rancichito!”.

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