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Elezioni Tante liste, pochi manifesti elettorali

Numerosi gli spazi lasciati vuoti dai partiti che preferiscono altre forme di comunicazione

Il manuale ufficiale dell’affissione di manifesti elettorali recitava così: prendere dei secchi in plastica e riempirli con acqua e colla solubile. Aspettare qualche ora mescolando ogni tanto con un pezzo di legno. Assicurarsi di avere pennelli di grande dimensione, meglio se già usati. Indossare capi d’abbigliamento di nessun valore, perché inevitabilmente schizzi di colla finiranno su maglia e pantaloni che saranno da buttare con ogni probabilità. Pronti per mettere in bella vista il manifesto con la sacra indicazione di voto.

A guardarsi intorno, però, quando mancano meno di quindici giorni alle elezioni politiche 2022, sembra che sia rimasto vivo soltanto il manuale, mentre di volonterosi militanti vi sono poche tracce. I più confortevoli tabelloni in metallo hanno in larga parte sostituito quelli in legno poroso e poco assorbente, ma i tanti spazi lasciati desolatamente vuoti oltre a essere uno scempio visivo, pongono diversi interrogativi.

Un sacrosanto risparmio di carta diranno alcuni. Il risultato finale dei partiti liquidi, sosterranno altri. I tempi cambiano, chioseranno altri ancora.

Sono convinto che il manifesto in sé non abbia mai orientato in modo decisivo il voto degli elettori, ma resta comunque una forma di comunicazione diretta, semplice, accessibile a tutti

Negli anni 70/80 i partiti esponevano con orgoglio il proprio simbolo, della serie “mi raccomando, diffidate dalle imitazioni, e abbiate buona memoria dentro la cabina”.

Ecco, quindi, che i Repubblicani mettevano in mostra una mastodontica foglia d’edera. Altri, come il Pci o la Dc aggiungevano il “vota”, in un misterioso mix tra l’invito e la minaccia. Dagli archivi storici e fotografici emergono due eccezioni: i Socialisti di Bettino Craxi, lanciarono lo slogan “Il Psi vota per te”, una primordiale forma di populismo. Mentre per qualità graficasarcasmo spiccavano i messaggi di Democrazia proletaria.

C’erano poi gli annunci dell’imminente arrivo dell’onorevole di turno, direttamente da Roma, intesa come Caput Mundicon i simpatizzanti che strabuzzavano gli occhi e preparavano il vestito buono, quello delle festeNegli anni 90, con l’introduzione del maggioritario, le facce dei candidati, spesso catapultati senza una logica apparente, sostituirono i simboli. Ricorderete di certo i sorrisi smaglianti su sfondo paesaggistico mozzafiato. 

I politici con i capelli bianchi narrano di riunioni turbolente in Comune, quando venivano sorteggiati gli spazi. Meglio la fila in basso, no, più visibile quella in alto: il dilemma non si è mai risolto.

Dalle sezioni locali dei partiti, oggi si è passati agli spin doctor. Come avrebbe detto Pierangelo Bertoli, le campagne elettorali si fanno con i dosaggi esatti degli esperti”. Eppure, anche all’interno di un mondo mediatico complesso e mutevole, il manifesto elettorale può rappresentare uno strumento di recupero empatico tra elettorato e rappresentanza. Dal Comune più grande al paese più isolato, il messaggio rimane chiaro: Noi ci siamo, in carne e ossa. Una ripartenza di partecipazione dal basso di cui tanti parlano, ma pochi sembrano praticare.

Con la speranza che gli spazi vuoi si riempiano, un grazie ai volontari che spennellano ancora per rivendicare il valore di un simbolo, di un ideale, di un’idea. Qualunque essi siano.

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