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FABRIANO BOLOGNA VIOLENTA: INTERVISTA A NICOLA MANZAN

Una chiacchierata con Nicola Manzan, fondatore dei Bologna Violenta

FABRIANO, 8 marzo 2018 – A distanza di quasi due mesi dal concerto fabrianese (ci piacciono fare le cose con calma per farle bene) ecco il resoconto della chiacchierata con Nicola Manzan, leader dei Bologna Violenta.

Dal Veneto a Bologna. Partiamo dalla vostra genesi e raccontateci come si sta evolvendo il progetto Bologna Violenta.

Il progetto è nato nel 2005 mentre vivevo a Bologna. Nella mia testa sarebbe dovuto durare il tempo di un disco, più che altro per togliermi lo sfizio di fare musica estrema come mai avevo fatto prima d’ora. Le cose sono però andate in maniera diversa, sono usciti cinque album e vari ep e split. Se inizialmente era una specie di one-man-band, da qualche anno è diventato un duo con l’ingresso in formazione di Alessandro Vagnoni, batterista e polistrumentista. In mezzo a tutto questo ci sono state centinaia di concerti in Italia ed Europa. Dal punto di vista musicale c’è stata un’evoluzione continua, dal primo disco quasi minimale si è arrivati all’ultimo full-lenght che ha connotazioni quasi sinfoniche, mentre con l’ultimo ep, Cortina, ci siamo spostati in territori acustici, pur mantenendo un approccio molto diretto e, per così dire, violento.

Il vostro primo album è stato un vero e proprio pugno nello stomaco per la sonnacchiosa realtà musicale italiana. A distanza di 10 e più anni ne siete ancora fieri?

Sono estremamente fiero di quel disco. Nonostante sia nato quasi per caso, ho capito che dovevo farlo sentire a più persone possibile e, complice il fatto che ero in tour con vari artisti indipendenti, sono riuscito davvero a farlo arrivare ovunque potessi. A conti fatti, è un disco uscito in 3500 cd e 500 vinili, quindi grandi numeri rispetto al progetto così di nicchia. Musicalmente lo sento magari un po’ acerbo in alcuni punti, ma ci sono già delle idee che poi si ritrovano in tutta la mia produzione. Mi è capitato di riproporlo dal vivo qualche sera fa in apertura ai Fast Animals and Slow Kids e devo dire che, se da un lato è stato emozionante fare un salto nel passato, dall’altro ho percepito chiaramente che i pezzi continuano ad avere, nonostante tutto, una potenza espressiva di un certo livello.

Raccontateci “Cortina” la vostra ultima fatica da studio, parlateci anche dallartwork piuttosto particolare che sembrano voler ricordare i giochi olimpici invernale del 1956. Una qualche connessione con quelli coreani? Magari a livello politico?

Cortina è stato concepito in macchina, mentre eravamo in tour. Si parlava di come far evolvere la nostra musica, di cosa sarebbe successo dopo il tour di Discordia e su cosa ci sarebbe piaciuto registrare. Sentivo che mancava, soprattutto dal vivo, la presenza del violino, quindi Alessandro ha proposto di lavorare ad un disco che fosse incentrato proprio su questo strumento. Avevamo molti brani pronti per essere pubblicati, ma erano un po’ troppo in linea con quanto già fatto, quindi si è pensato di fare qualcosa da zero, sfruttando delle batterie che Alessandro aveva registrato a casa mia durante un dayoff. La copertina invece è frutto di un processo molto lungo, figlio di un concept simile che era però legato a brani diversi da quelli finiti nel disco. Quando però ho sentito per la prima volta Cortina nella sua interezza ho pensato che il trampolino di Cortina ben rappresentasse il tipo di approccio sonoro, quasi decadente e “antico”, mentre l’idea del salto nel vuoto era molto in linea con lo stato d’animo con cui ho affrontato la composizione e la registrazione dei brani. Nessuna connessione con i giochi olimpici coreani, non seguo lo sport ed ho saputo di questo evento solo quando è iniziato.

A livello compositivo, quanto è cambiato il vostro approccio mentre “pensavate” “Cortina”?

Se da un lato siamo partiti come sempre da parti di batteria più o meno improvvisate, il fatto che non ci fossero le chitarre mi ha portato a cercare delle soluzioni diverse a livello di scrittura, senza però perdere l’impronta “violenta” dei brani. Questo ha fatto sì che il risultato sia molto minimale, con un approccio a volte quasi anti-violinistico, dall’effetto a spesso straniante figlio di un lavoro approfondito sulle dissonanze.

Il violino, uno strumento che ritorna. Come un amico mai del tutto abbandonato. Sbaglio?

Il violino è il mio strumento, la mia voce, il mio compagno di lavoro. Per capirci, lo strumento che suono oggi è lo stesso che mi accompagna da trent’anni, con cui ho fatto tantissimi concerti e centinaia di ore di registrazione. È uno strumento che non ho mai abbandonato e che sento essere profondamente parte di me. Non mi considero assolutamente un chitarrista, il mio strumento è il violino e la chitarra è solo un mezzo per ottenere sonorità diverse, ma non sarà mai il mio strumento principale.

Alessandro Vagnoni è entrato ufficialmente nella band nel 2015. Quanto è stato importante in questi ultimi anni?

Direi che è stato fondamentale per far diventare BV qualcosa di più grande e più interessante. Il fatto che il progetto sia nato come one-man-band era solo per una questione di necessità perché non conoscevo persone che potessero intraprendere con me un’avventura così fuori dagli schemi (anche a livello tecnico, per capirci). Alessandro è molto preparato, ha una passione vera che lo spinge a migliorarsi sempre e a lanciarsi, come in questo caso, in avventure quasi rischiose. Il risultato della collaborazione con lui è davvero ottimo, ha molte idee e molto entusiasmo, oltre ad una tecnica invidiabile non solo a livello batteristico (negli ultimi dischi ha suonato anche il basso, oltre ad averli mixati). Quindi sì, ritengo che l’ingresso in formazione di Alessandro fosse il passo obbligato che dovevo fare per rendere il progetto più interessante e ancora più entusiasmante.

Facciamo un piccolo salto indietro nel tempo: “Uno bianca”. Un album che ha generato molte discussioni per la scelta del tema e che da un certo punto di vista sembrava la rappresentazione della banda in musica: la follia della violenza rappresentata dalle chitarre e lapparente pace sinfonica. Che ne pensate?

Il disco è nato con l’intento di raccontare in musica i peggiori crimini della banda della Uno Bianca. I brani sono strutturati sulle rapine, cercando di ricreare la follia di quei momenti, sottolineando gli spari, le esplosioni e le morti. Gli archi sono molto presenti e penso che siano la parte più espressiva del disco, non solo quando raccontano i momenti di calma appartente, ma anche quando accompagnano le chitarre sia nelle parti più deliranti, che in quelle più drammatiche. È un disco di cui vado particolarmente fiero, forse è una delle mie massime espressioni in musica, anche se il carico di discussioni (leggasi: rotture di palle, giusto per minimizzare la cosa) che ha generato mi porta spesso a pensare che non so se lo rifarei.

Avete collaborato con tanti nomi della scena italiana: con chi vorreste provare a “parlare fattivamente” di musica?

Questa è una bella domanda… sinceramente non so cosa rispondere, siamo impegnati sempre su più fronti con persone che ci stimolano molto e che ci portano a suonare generi sempre diversi. Quindi nello specifico non saprei chi scegliere tra i vari musicisti che stimo e con cui non ho mai lavorato. Diciamo che ecco, non è vero che in Italia non abbiamo progetti validi, anzi, siamo in un periodo in cui ci sono band ed artisti italiani che stanno girando mezzo mondo senza sfigurare e senza sembrare la brutta copia di qualcun altro, quindi mi sento di dire che la rosa di persone con cui ci piacerebbe collaborare è abbastanza ampia.

A quando il prossimo disco? Che cosa bolle in pentola per Bologna Violenta?

Non abbiamo assolutamente idea di quando uscirà il prossimo disco. Abbiamo in programma un paio di concerti, ma nient’altro è ancora deciso. Come dicevo, siamo entrambi impegnati in altri progetti che siamo sicuri  ci daranno molti stimoli per affrontare il nuovo album. Dopo Cortina non è facile neanche immaginare che tipo di sonorità potrebbe avere, quindi non riusciamo neanche pensare a quando potrà essere pronto per essere mandato in stampa.

 

(s.s.)

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