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FABRIANO “GLI ULTIMI GIORNI DI ANITA EKBERG”: IL NUOVO LIBRO DI ALESSANDRO MOSCÈ

FABRIANO, 22 ottobre 2018 –  Per lo scrittore, poeta e giornalista fabrianese Alessandro Moscè in arrivo un nuovo libro: si chiamerà  “Gli ultimi giorni di Anita Ekberg”, in uscita presso l’editore Melville. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Come nasce Alessandro Moscè scrittore?

Nasco come poeta, ma in realtà furono i miei primi racconti ad essere pubblicati in riviste. Credo nella contaminazione della poesia con la narrativa e nella poesia-racconto, così come nel romanzo con un tono lirico ed epico. “L’odore dei vicoli” è una plaquette del 2005 dove la dimensione esistenziale, notturna, misterica, abbraccia la mia città, Fabriano, e il luogo principe della mia poesia: il giardino comunale: una specola, dove non emerge il posto in sé, anonimo come qualunque altro, ma l’occasione per interrogare il senso di perdita, i vivi e i morti, il ricordo struggente, le figure amatissime dei nonni paterni e materni. In quel giardino, da piccolo, ho incominciato a camminare, sono cresciuto, diventato adolescente. E’ un luogo aperto, da dove si arriva al centro della città passando attraverso vicoli sdrucciolevoli, con i muri delle case di mattone grezzo con l’intonaco sbriciolato e le finestre posizionate ad altezza d’uomo.

Che importanza hanno i luoghi marchigiani nella sua opera?

I miei luoghi sono spesso concreti, visivi, fotografici. Luoghi fisici, ma anche metafisici, sempre sull’orlo di una scomparsa, di una ripresa, di una salvazione. La poesia non trova la sua necessaria radicalità nel luogo, piuttosto nella corrispondenza con il luogo come occasione per dilatare il mondo nella realtà globalizzata. Nasce quindi un vero e proprio sentimento del luogo. E’ Ancona il luogo che ho addomesticato di più nell’infanzia, perché ci hanno vissuto i nonni. Nei miei libri compaiono spesso la collina dell’entroterra e la riviera adriatica.

La raccolta poetica “Hotel della notte” è stata appena tradotta in Sudamerica per l’editore Buenos Aires Poetry. 

I sudamericani prediligono la dimensione reale e visionaria, che del resto è anche la mia. “Hotel della notte” vivifica gli archetipi come la nascita e la morte, che entrano nel tempo che ci sottrae età, giovinezza, amori. La battaglia del poeta è contro tutto ciò che deperisce, contro tutto ciò che finisce. Non è un caso che gli stessi oggetti, nei miei versi, abbiano anima e voce. La comunione tra i vivi e i morti, alla quale alludevo, è incentrata specie su Pierino, al quale spesso ricorro. Era un omino della casa di riposo di Fabriano, un personaggio felliniano. Si diceva che portasse fortuna e per questo veniva invitato a battesimi e a matrimoni. Parlava con la Madonna e con la madre attraverso i pozzi e le pareti dell’ospizio.

Di cosa tratterà il suo prossimo libro?

Sarà un romanzo, “Gli ultimi giorni di Anita Ekberg”, in uscita presso l’editore Melville. Una biografia romanzata sulla celebre attrice che finì dimenticata da tutti in una residenza protetta per lungodegenti a Rocca di Papa. Il romanzo è innescato, per così dire, nell’epoca della Dolce Vita e nei decenni successivi, fino al Duemila. Inserisco spesso fatti di cronaca perché credo in un’ibridazione di saperi trasversali, in una mediazione che inquadra la grande storia e la piccola comunità. Sto lavorando anche attraverso il mio sito personale (www.alessandromosce.com) ad un progetto che vuole invertire la tendenza tutta italiana per cui ciò che conta appare solo in televisione. Esiste invece una la quotidianità di chi non finisce sullo schermo o sui giornali, quella della gente comune che gioisce o soffre dentro una casa, nel posto di lavoro, in mezzo alla strada. Gli scrittori devono fare soprattutto questo: operazioni di ripescaggio di storie straordinarie eppure usuali.

 

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