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Fabriano “Le case dai tetti rossi” di Alessandro Moscè verrà tradotto in lingua araba

Dal libro di Moscè è in lavorazione una pièce teatrale da parte di una compagnia amatoriale di Fabriano

Fabriano – Alessandro Moscè, scrittore nativo di Ancona ma residente da sempre a Fabriano, lo scorso anno ha dato alle stampe il romanzo “Le case dai tetti rossi”, edito dall’editore Fandango.

Il libro si è imposto all’attenzione della stampa nazionale e degli addetti ai lavori e ha riaperto un tema ancora attuale: la malattia mentale e i luoghi di contenzione che una volta erano considerati delle carceri, cioè i manicomi (fino all’ìntroduzione della legge Basaglia che ne ha determinato la chiusura).

“Le case dai tetti rossi” verrà tradotto in lingua araba: sono appena stati ceduti i diritti dall’editore e dunque la vicenda raccontata da Moscè supererà i confini italiani (uscirà in Egitto, a Il Cairo).

La narrazione di Moscè è ambientata nella struttura anconetana di via Cristoforo Colombo 106, che ha definitivamente chiuso i battenti nel 1996 (oggi è la sede di più attività, tra cui il centro operativo del Corpo Forestale, due asili nido, scuole di teatro e di musica).

Dal libro di Moscè è in lavorazione una pièce teatrale da parte di una compagnia amatoriale di Fabriano, che porterà in scena alcuni dei protagonisti, voci isolate eppure protagoniste del cambiamento in atto da parte della psichiatria moderna alle porte del terzo millennio.

Alessandro Moscè sta continuando il tour di presentazione del romanzo che ha toccato, tra l’altro, molte città marchigiane, dove tra gli ospiti erano presenti medici, psichiatri e neurologi per fare il punto della situazione sullo stato di avanzamento del trattamento e delle cure del disagio mentale.

Afferma Alessandro Moscè: «Molti lettori mi hanno contattato perché hanno avuto a che fare con il manicomio di Ancona. Andavano a trovare un familiare, un amico, un vicino di casa. La cosa sorprendente è che in epoca relativamente recente anche ex prostitute, omosessuali, barboni, reduci di guerra, epilettici erano relegati tra quelle mura. La chiusura dei manicomi ha dato identità e dignità a queste persone che oggi condurrebbero una vita normale».

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