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Opinioni

IL PRIMARIO / Marco Candela: gli effetti del covid, le terapie, l’importanza di vaccinarsi

Dal giugno 2020 operativo al “Carlo Urbani” uno specifico laboratorio integrato per fondere in un’unica offerta assistenziale le varie competenze

Nella primavera 2020 nei reparti Covid dell’ospedale “Carlo Urbanidi Jesi ci siamo chiesti: nei tanti pazienti giunti alla nostra osservazione quali saranno gli effetti a medio – lungo termine dell’infezione? Quali saranno le evoluzioni clinico-radiologiche e le ripercussioni sistemiche di un virus che ha dimostrato poter colpire tantissimi organi ed apparati? Quale infine il livello di stress post-traumatico e di qualità di vita, e quanti pazienti diventeranno ansiosi, depressi o con somatizzazioni?

Ci siamo quindi detti: è necessario un management innovativo del paziente Covid, basato sull’integrazione tra differenti expertise, da intendere non come somma di più consulenze bensì come unica modalità strutturata e globale di presa in carico, al fine di monitorare l’evoluzione delle complicanze d’organo e funzionali, sia già assodate sia malauguratamente osservabili a distanza di tempo.


Con fortunata ed indubbia preveggenza di quanto poi diffusamente riportato nella letteratura scientifica internazionale, è quindi sorto l’Ambulatorio Integrato Post Covid, operativo ininterrottamente dal giugno 2020 ad oggi e nato per fondere in una unica offerta assistenziale competenze infettivologiche, internistiche, pneumologiche, riabilitative, psicologiche, farmacologiche a favore di pazienti Covid positivi dimessi dal “Carlo Urbani.

Marco Candela

Attualmente circa 400 pazienti sono stati osservati in questa struttura ambulatoriale e hanno colto molto favorevolmente questa modalità di valutazione baseline che condivide da differenti punti di osservazione quelle problematiche peculiari che li affliggono e che successivamente sono state affrontate e monitorate secondo specifici percorsi.


In questa esperienza sinora condotta i principali sintomi riscontrati sono stati astenia, respiro corto, cefalea, febbricola episodica, alterazioni del gusto e dell’olfatto, caduta di capelli, dolori osteoarticolari in associazione a quadri funzionali e strumentali di ridotta funzionalità respiratoria e di fibrosi polmonare residua.

Di non minore interesse le ripercussioni in ambito psicologico con deficit di concentrazione, frequente disagio psichico di tipo depressivo e/o ansioso in associazione a disturbi sonno sino a, fortunatamente di minore prevalenza, veri e propri disturbi post traumatici con sintomi di allarme. Complessivamente le problematiche organiche e psicologiche residue inducono tristemente insieme una ridotta qualità di vita in oltre la metà dei casi con almeno un sintomo persistente dopo 12 mesi dall’infezione in una pari percentuale nei pazienti inizialmente arruolati.

Ovviamente tali riscontri sono emersi con maggior frequenza nei pazienti che avevano sviluppato all’esordio un’infezione Covid19 di maggiore gravità.
Ben consapevoli della limitata affidabilità della nostra esperienza monocentrica, siamo però oggi confortati da una notevole sovrapponibilità sia dei sintomi riscontrati sia delle loro percentuali di prevalenza nel confronto con i risultati riportati in studi e riviste scientifiche di valenza internazionale tipo Lancet e Nature Medicine, testate ben note anche a non esperti del settore, che hanno introdotto neologismi medici quali “post-acute COVID19 syndrome” o “long term post-Covid” appunto a definire il protrarsi nel tempo del decorso clinico di questa infezione.

In ambito terapeutico si è sinora ricorso a un trattamento per lo più di tipo sintomatico delle singole problematiche post Covid rilevate ma ovviamente, di primaria importanza, sarebbe attuare misure preventive dell’infezione o di attenuazione della severità dei quadri clinici presentate.

Se per quest’ultimo obiettivo è cruciale intervenire quanto prima con farmaci antivirali e/o anticorpi monoclonali, la migliore prevenzione, nella più assoluta logicità, è evitare l’infezione mediante buone pratiche comportamentali e soprattutto la vaccinazione, emersa inoltre in una recentissima esperienza britannica ridurre sia la prevalenza sia l’entità dei sintomi post covid nei pazienti comunque infettati. A distanza di almeno una settimana dalla vaccinazione oltre la metà dei casi analizzati ha infatti riferito meno sintomi di Long Covid, con totale miglioramento nell’11% e un ulteriore 15% con un numero ridotto di sintomi.

In questo ambito i vaccini a mRna tipo Pfizer o Moderna sono stati associati a un maggiore miglioramento dei sintomi. Dati quindi che introdurrebbero non soltanto una efficacia preventiva ma anche terapeutica delle manifestazioni residue da parte della vaccinazione.

Dr. Marco Candela

direttore dipartimento medico Av2direttore Uoc medicina interna ospedale “Carlo Urbani” – Jesi

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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