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Cronaca

JESI Bloccata in Colombia con la figlia torna a casa dopo tre mesi: «La fine di un incubo»

Raquel vive a Jesi con il consorte Paolo Brunacci: a causa della pandemia dal 2 marzo scorso la famiglia è tornata a riunirsi solo tre giorni fa

JESI, 6 giugno 2020 – Il covid19 la causa di tutto, di ina storia comunque finita a lieto fine, di un viaggio che è stato una odissea per Raquel Jaramillo Guardo origini colombiane e residente in Italia da 10 anni.

Raquel vive a Jesi con il marito, Paolo Brunacci, e due figlie: proprio con la più piccola di loro, 5 anni, era partita lo scorso 2 marzo per la Colombia dove vivono i suoi genitori.

L’occasione, ovviamente, per trascorrere del tempo insieme visto che l’ultimo viaggio risale a diversi anni prima, quando la piccola aveva solo un anno. Il rientro era previsto per i primi giorni di aprile ma Raquel e sua figlia hanno rimesso piede in Italia solo pochi giorni fa, il 3 giugno scorso.

«Dal 13 marzo è stato imposto il blocco totale anche in Colombia a causa della pandemia – racconta -. Il tempo passava ma il fermo non era ancora terminato: il nostro rientro in Italia cominciava a sembrare davvero un’impresa difficile anche perchè dalla zona dove stavo io fino all’aeroporto di Bogotà ci avrei impiegato 24 ore e in ogni caso non potevamo spostarci».

L’unica cosa da fare era contattare l’ambasciata italiana.

«Anche su consiglio dell’agenzia viaggi jesina, cui mi ero rivolta per il viaggio, ho preso contatti con l’ambasciata che però non aveva risposte per le mie necessità. La svolta quando sui social ho trovato dei gruppi di italiani bloccati in Colombia e di colombiani bloccati in Italia: in un modo o nell’altro doveva venire fuori qualcosa».

Grazie a questi contatti gli appelli per rientrare si sono fatti più pressanti.

«Sapevamo che c’era un volo che dalla Colombia sarebbe andato a prendere i colombiani in Italia. In alternativa c’era un altro volo ma decisamente troppo costoso che mi avrebbe lasciata a Milano ma poi in Italia c’era il blocco tra le regioni. Insomma, un problema dietro l’altro ma avevo bisogno di tornare anche per mia figlia».

Quando tutto sembrava essersi risolto, lo scorso sabato pomeriggio l’ambasciata italiana ha evidenziato alcuni problemi per la bambina.

«C’era il volo per me ma non per mia figlia, serviva l’autorizzazione del padre per via della legge sull’immigrazione: nulla a che vedere con la mia situazione e solo l’ennesimo ostacolo da superare».

Il viaggio della speranza alla fine è iniziato.

«Organizzato dall’ambasciata ma pagato da noi, finalmente il viaggio di ritorno: sono riuscita ad inserire mia figlia nella lista passeggeri con non poche difficoltà. Alle 22 di domenica sera mi informano che la mattina dopo potevo comprare i biglietti: lungo la strada fino a Bogotà abbiamo raccolto altri passeggeri, noi siamo state caricate strada facendo, in aeroporto abbiamo atteso 7 ore per via dei protocolli di sicurezza e poi il viaggio di 11 ore fino a Roma».

Un viaggio che sembrava infinito soprattutto per la bambina: «Ogni volta che si svegliava mi chiedeva se eravamo arrivate: io rispondevo che mancava ancora poco».

Mercoledì scorso alle 12 finalmente la famiglia si è riunita: «È stata un’impresa: ma dopo tutto questo siamo riusciti a riabbracciarci. Mia figlia è stata molto contenta di ritornare a casa, di rivedere il resto della famiglia e di poter riabbracciare suo padre».

Eleonora Dottori

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