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JESI Buon primo maggio, festa dei “non” lavoratori

In un passato favoloso si andava al fiume o al mare, adesso ci mettiamo alla finestra o al balcone con un panino che gronda tristezza

JESI, 1 maggio 2020Caro direttore,
oggi non mi ci trovi. Con la testa. Con il cuore. Col criceto impazzito che mi gira nel cervello (cervello…) e mi si infila fra le sinapsi indebolite da anni di sesso, “mestiganza”, r&r e satira preventiva e consuntiva.

Nel senso che la memoria va e viene a seconda di come girano i santissimi attributi, o per lo meno i resti del mio compianto complesso monumentale. Così è più semplice ricordarsi del passato favoloso (ma non perché eravamo più giovani o, forse, sì) in cui si andava, per il primo di maggio, con amici e parenti caricati su auto stracolme di tavolinetti e sedie da pic nic, in campagna e magari ascoltavamo i nostri “vecchi”, mamma, zia Leda e zio Gigino Sardella, per noi sempre giovani.

Mamma, zia Leda e zio Gigino Sardella

Quando pioveva, e capitava sovente il 1 maggio, stavamo tutti insieme lo stesso… ma al chiuso, c’erano Carlo Javarone e Loretta e tanti altri … congiunti.

Carlo Javarone e Loretta

Carlo Javarone e Loretta

Non ti parlo dei fuochi e della grigliata (più tardi cominciammo a chiamarla barbecue, faceva più fine, similUsa…), ma salsicce, fegatelli (con l’alloro), bistecche, pane abbrustolito erano ancora i migliori, made in Italy.

Qualche volta, come abbiamo anche ricordato in un pezzo onafifettiano, si andava magari al fiume, quando era pulito. Ma lo sai che gli diede il nome re Esio, sì quello, il fondatore della nostra città? Federico II ci si bagnava spesso fra quelle chiare, fresche e dolci acque. Anche il fiume nel tempo è cambiato.

Guarda direttore, ti riporto un paio di pezzi, riaggiornati, che gli Onafifetti, beati loro, scrissero tempo fa.

“I castelli diciamo jesini, son ricordi non troppo vicini, che pe’ andacce con Peppe e Righetto, bisognava pijare il caretto. Ce se andava anche il primo maggio, tutti insieme, sentissi che sgaggio! Lo jesino, a quel tempo, si sa, era un po’, come dire? tarpà! Se portava il pa’ fresco qui in tasca e beveva del vino alla frasca. Coi panini ed i fiaschi impagliati, te mettei a fa’ merenda sui prati, che a quel tempo, non è per vantacce, ce trovavi soltanto cartacce, mentre adesso, cornuto e contento, trovi erbacce, cartacce e cemento. Sulla canna della bicicletta, al Moreggio portavi Rosetta e laggiù, poveretto o signore, sull’erbetta facevi l’amore”.

Il bagno al fiume non si può più fare, è sporco, e i pesci sono diventati marrone e si chiedono sgomenti: “ma siamo trote o stronzi?”.

Scusami direttore, ho citato anche la famosa “Tutti al mare”. Pensa, sento ancora il profumo originario del Moreggio. Adesso ci trovi una babele di lingue che viene alla domenica a cucinare sulle amate sponde, e non c’è più l’ambiente di una volta. È un fiume globalizzato. Jesi si svuotava, il Corso, i giardini e le zone limitrofe erano deserti, quasi come in questi giorni di quarantena, anzi, sessantena o giù di lì, ormai sembra essere nel romanzo di Mc Carhy, “La strada”.

Tutti al mare: Giovanni Filosa, Giorgio Lodari, Mario Sardella, Angelo Domenichetti

Altre volte che il tempo ci assisteva, siamo andati (sempre in gruppo folto ed etero) al mare, a Falconara, e ci portavamo tutto l’occorrente per mangiare, bere ed essere felici. Una specie di kit di sopravvivenza.

Gli anni passano, caro direttore, le gite fuori porta perdono un po’ del fascino che avevano allora e diventiamo tutti più grandi. Adesso, poi, il 1 maggio a chi interessa più, in un momento in cui c’è poco da festeggiare?

Ci mettiamo tutti alla finestra, o al balcone a sventolare le bandiere tricolori per poi tornare dentro ed essere più tristi di prima? Ma quale flash mob, direttore, magari ci presenteremo col tovagliolo a quadri in finestra, un panino che gronda tristezza per la coppa che non è più quella di una volta, ostenteremo una dentiera traballante al vento dopo esserci messi un sorriso e ricorderemo Pirandello che, in “Uno, nessuno e centomila” diceva: “Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”.

Ecco, oggi forse saremo, anzi, fingeremo di essere altri. Se dobbiamo proprio farlo…

Caro direttore, mi sono intristito e non mi ci vedo al balcone o in finestra, coi cartelli arcobaleno. Perché ho fiducia ma anche stanchezza. Mi ha fatto sorridere una scritta che diceva così: “Ce la faremo. E se non ce la faremo, ce la fa Romolo”.

Chissà, forse canterò e suonerò “La canzone del maggio” di Faber, solo soletto, che un senso ce l’ha.

Direttore, ti saluto con una personale considerazione: Oggi con questo Covid-19, il 1 maggio è diventato “La festa dei non lavoratori”, che in realtà sono lavoratori che vorrebbero lavorare ma ancora non glielo permettono.

Contorto? Non mi pare.

Buon 1 maggio a te e ai miei 25 lettori.

Giovanni Filosa

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