Segui QdM Notizie

Cronaca

JESI Caritas, servono famiglie tutor per il progetto A.p.r.i.

Per l’accoglienza e l’integrazione, più semplice e “popolare” dei corridoi umanitari

JESI, 1 febbraio 2020 – Ieri sera alla Caritas diocesana di viale Papa Giovanni XXIII sono stati presentati due importanti progetti: i corridoi umanitari e A.p.r.i.

Entrambi volti all’accoglienza e alla solidarietà, hanno bisogno del supporto della comunità cittadina. Marco D’Aurizio, direttore Caritas Jesi, ne ha parlato in presenza del vice sindaco Luca Butini per sottolineare come l’accoglienza non sia solo un affare ecclesiastico, riguarda il vivere civile.

«Sono qui oggi – ha spiegato Butini – per evidenziare il desiderio di collaborazione dell’Amministrazione comunale. Vogliamo migliorare l’accoglienza e capire cosa ne pensano gli jesini per comprendere a che punto siamo in questo processo necessario».

Ma cosa sono i corridoi umanitari?

L’Angelus del 6 settembre 2015, ha spiegato il direttore, ha ispirato questo accordo tra Ministero degli Esteri, Comunità Episcopale Italiana e Comunità Sant’Egidio.

Ogni parrocchia, comunità religiosa, santuario e monastero d’Europa accolga una famiglia di profughi, diceva il Papa. Non parla solo all’Italia, dunque, che a quanto pare vuole vivere questa emergenza umanitaria – molto prima ancora che politica – come un problema da accollarsi.

Solo in Italia, comunque, sono presenti 26 mila parrocchie. L’impatto sarebbe enorme.

Cei, Sant’Egidio e Ministero hanno stipulato un protocollo per i corridoi umanitari. I beneficiari di questi corridoi sono persone bloccate nei campi profughi. Non sono altro che una via sicura e legale per accedere al nostro Paese.

Non risolvono la questione delle migrazioni, è impossibile fermare un fenomeno nato con l’uomo. Tuttavia, sono un sollievo per queste persone in difficoltà.

3ef71488-0c81-495d-925f-ae20b6b1db2a 2ff3c516-d0c6-4144-b091-6347e5343585 59cf0eea-a519-4cbe-8b37-f62a162a87ab c15df871-545f-4b72-9328-9f7e3df5af77
<
>

Tutto questo, comunque, si inserisce nel discorso diritto d’asilo. La Convenzione di Ginevra del 1951 prevede il divieto di espulsione, ma già l’articolo 10 della nostra Costituzione afferma: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge».

Grazie ai corridoi umanitari, nel 2018 sono arrivate in Italia circa 100 famiglie: 500 persone di cui 200 bambini, 14 diocesi coinvolte, 700 tra operatori, famiglie tutor, volontari. La dignità di queste persone è stata rispettata grazie a un viaggio assolutamente legale e sicuro in aereo. Grazie a questi corridoi, si scongiurano quelle tragedie che sin troppo bene conosciamo sulle nostre coste.

Si tratta di persone che fuggono con i loro sogni e ambizioni, e che sentono come un proprio obbligo morale aiutare economicamente le famiglie rimaste nei Paesi d’origine.

Tutto questo costituisce una lotta ai trafficanti di persone, tanto che anche altri stati europei stanno cercando di attivare iniziative del genere.

«Non si fermano i flussi con gli slogan – ha detto Marco D’Aurizio -, chiudere le frontiere significa forse rallentare o modificare il processo di migrazione delle persone, ma il fenomeno resta. Essendo questo il punto di partenza, tanto vale renderlo meno duro per queste persone e più controllato anche per i Paesi di approdo».

La famiglia di Yassin

I beneficiari dei corridoi umanitari sono profughi dal Sudan, dalla Siria, dall’Eritrea e dall’Iraq. In Giordania sono presenti campi per siriani e in Niger persone che vengono dai centri di detenzione della Libia.

Sono scelti in loco tramite colloqui e in base a ciò che le diverse diocesi possono offrire.

Tra loro c’è Yassin, che con moglie e due figli piccoli è arrivato a giugno 2018 a Fiumicino e quindi a Jesi, dove la Caritas, supportata da Unhcr, li ha aiutati nella prima accoglienza. Alla sua famiglia serviva una mano per la sanità, per le scuole, per instaurare un rapporto di fiducia con l’ambiente e per apprendere l’italiano.

Il loro appartamento è pagato dalla Caritas jesina, garantendo loro una vita “normale” in un condominio. Altre diocesi tuttavia riescono a utilizzare locali propri.

Durante il loro primo anno, Yassin e sua moglie hanno studiato per conseguire la terza media, ora frequentano rispettivamente tirocinio e corso da Oss e un tirocinio presso il Collegio Pergolesi.

«Abbiamo dormito per quattro anni in tenda – ha raccontato Yassin – in un campo profughi in Etiopia. Dall’Eritrea si fugge a causa della dittatura e di una durissima leva militare obbligatoria. Qui abbiamo trovato una famiglia vera che ringrazio, sono felice ora».

Il progetto A.p.r.i.: cercansi famiglie tutor

Più semplice e circoscritto dei corridoi umanitari è il progetto A.p.r.i., per cui si cercano famiglie tutor indicativamente entro questa primavera.

L’accoglienza avviene in case parrocchiali o appartamenti privati, e ciò che è richiesto alle famiglie tutor è di essere un punto di riferimento per le persone coinvolte per sei mesi. Cene, gite fuori porta, pomeriggi o giornate insieme, una serata al cinema.

Tutto questo arricchisce la comunità, le famiglie ospiti e le persone già da mesi o anni in Italia, orfane o con famiglie lontane, che conoscono bene lingua e territorio. L’obiettivo non è soltanto l’accoglienza, ma lo scambio di culture, il contatto e la condivisione, la creazione di famiglie allargate. Verso un’autonomia sempre maggiore dei migranti in difficoltà per il Decreto Sicurezza.

Si tratta di persone già integrate ma che aspirano al conseguimento della patente o all’avvio di tirocinii o piccoli lavori, e che pertanto troverebbero giovamento dal contatto con famiglie di Jesi e dintorni, ovviamente con il supporto e la supervisione costante della Caritas.

Il progetto può ripartire solo in base alle adesioni delle famiglie aspiranti tutor, che tra i mesi di febbraio e giugno possono recarsi alla Caritas per maggiori informazioni e per uno scambio di contatti.

In seguito si creerà una rete che in base alla propria ampiezza e disponibilità potrà affiancare le persone che ne hanno bisogno a creare un proprio spazio di autonomia e socialità.

Elisa Ortolani

©RIPRODUZIONE RISERVATA

News