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JESI CARNEVALE: LE MASCHERE E L’ARTE DI GIUSI BELLAGAMBA

La mostra a Palazzo dei Convegni sino a martedì nell’ambito del programma di “Jesi si Maschera”

JESI, 3 marzo 2019 – Fino a martedì sera (che sarebbe quello cosiddetto grasso, poi astinenza … o quasi, con le Ceneri alle porte) si potranno ammirare, per chi si va a fare una passeggiata lungo il Corso di Jesi, le maschere di Giusi Bellagamba, posizionate come meglio non si può all’interno del Palazzo dei Convegni, nell’ambito delle manifestazioni di Jesi si Maschera.
Trovo Giusi, insieme alla sorella Mugia (all’anagrafe Maria Eugenia, ma tutti, nei teatri in cui recita, la conoscono come Mugia, per risparmiare …) , sua diretta collaboratrice nella realizzazione dei capolavori (foto in primo piano) che impreziosiscono questi giorni carnevaleschi dove prevalgono maschere che alterano, nascondono e coprono i volti.

Nella storia del teatro, ricordo una commedia non male ma neanche il meglio, di Luigi Chiarelli, intitolata La maschera e il volto, dove un attento Antonio Gramsci, proprio lui, nella recensione che fece sul quotidiano socialista Avanti!, diceva: «La maschera: il complesso di atteggiamenti esteriori che gli uomini assumono sotto lo stimolo della realtà sociale che li circonda».

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E poi si domandava: «Chi riesce a strappare dal proprio volto questa maschera, chi riesce a vivere non secondo le inconsapute violenze della convenzione sociale, ma solo secondo i dettami del proprio io più profondo, della sincerità che pure esiste in fondo alla coscienza di ogni individuo?».
Una cosa più che seria a bagno nel tragicomico. Non  rivaghiamo. Giusi mi ha raccontato in poche parole come si festeggiano i 25 anni della sua attività dedicata al Carnevale.
«Volevo andare al Carnevale di Venezia a vedere le maschere, così mi chiedo: e io perché non mi maschero? Prendo fodera, cristalli, tulle, cartone ed invento La fata dei cristalli, Mugia mi faceva le foto, suo  marito Dante da autista. Approdiamo a Venezia. Lì la svolta inattesa».
«Grande successo ovunque andassimo, e il nostro capolavoro era realizzato col materiale più povero che esista. Ci ho preso gusto. Ho trovato, ritornando a casa, amici che negli anni mi hanno aiutato ad inventare (alcuni anche ad indossare) le mie intuizioni ed invenzioni più particolari, astratte, e avanti così per 18 anni con direzione Venezia. Una passione coltivata nel tempo e che ha portato a risultati davvero notevoli. Mi sono fermata, con Venezia, nel 2013, la fatica e l’ansia non superavano più il divertimento. La maschera? Per me significa che in quei fatati momenti cambia la tua personalità e sei un altro individuo, per cui devi avere gli atteggiamenti del personaggio che mostri e al quale dai una vita, i suoi gesti ed i suoi movimenti. Vivi un giorno di magia».
Proprio come l’abbiamo provata noi, osservando sabato la marea di gente che si perdeva fra i colori, i profili, le invenzioni ma soprattutto il cuore che le maschere, ancora e sempre realizzate da Giusi con materiale povero ma con la genialità di un’artista di razza, sanno dare, creando esseri ma, secondo me, tenendo conto che non sempre il volto, sotto la maschera, sogghigna. Vive, ride e soffre, come tutti.
Giovanni Filosa
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