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Cronaca

Jesi Ciao Zizzo, chiuso il sipario con l’ultimo, immenso applauso

Nella chiesa di San Pietro Martire colma di gente i funerali di Franco Morici officiati dal parroco don Emanuele Contadini, “anche stavolta tutto esaurito”

di Giovanni Filosa

Caro Franco,

c’ero anche io, forse mi hai visto, in mezzo al “pubblico” che ti ha tributato l’ultimo applauso.

Nell’aria, fuori della chiesa, non c’era quella nebbiolina e neppure quell’acquerugiola che ci rattrista in questi periodi che di più triste non si può. Dentro ad ogni jesino come me, scommetto, non poteva non esserci la malinconia di chi ha perso un personaggio che ha fatto della jesinità un marchio di fabbrica, un vanto da sbandierare quando arriverai davanti a Lui, tipoio so Zizzo de Jesi, quassù c’è Valeria, c’è Corrado e c’è Lello, posso boccà su?”.

Scommetto che in tanti intorno a me avranno sentito dentro, trasecolando come davanti a un miracolo, lo sbatacchiare di quella “Campana de San Fiorà” che Lello Longhi, tuo suocero, aveva scritto raccogliendo in un volumetto del 1956, introvabile ormai. Dai, senza fare il modesto. Sanno tutti che una bella parte della tua carriera l’hai vissuta lontano dal natio borgo, cogliendo gli onori e sopportando gli oneri. Eppure hai raccontato tante volte degli incontri che la vita ti ha regalato, sui set, sulle assi dei vari Teatri che ti hanno fatto sentire quel profumo di polvere del palcoscenico che, anche se oggi la tecnologia cambia ogni cosa, quel profumo non l’ha modificato mai. Non ci si riesce.

Sono convinto che sia stato un bene quando hai deciso di tornare a casa. Perché era il momento di dare una fisionomia a un tempo da ricordare e, soprattutto, da rivivere. Sei stato il “reinventore” delle commedie e delle “rime” scritte da Lello, verso cui io nutrivo affetto e rispetto, un saggio che ha dato vita e volto agli odori della sua memoria.

Con lui hai avuto un rapporto fiero e ricco di scambi sui quali si potrebbe scrivere una commedia. Ci siamo visti al di fuori e lontano dal palcoscenico che non abbiamo mai frequentato insieme. Io ero sempre in platea e tu lassù a recitare, con le tue pause, i movimenti e le posizioni del corpo, i gesti, l’espressione del viso, le inflessioni della voce, la sequenza, il ritmo e la cadenza delle parole e, tocco finale, quel momento sospeso in cui preparavi il pubblico alla battuta finale.

Quando ci incontravamo, dicevi, “salutami Fulvia, que fa tua madre? è stata la collega più simpatica, insegnavamo insieme, certe risate ce semo fatti!”. Hai sempre avuto un senso profondo della tua famiglia, tua moglie Lea, le tue ragazze, gli amici, praticamente tutta Jesi, riconoscevano in te un carattere gioviale e tenero ma anche deciso e senza peli sulla lingua, la tua non è stata mai la maschera di uno, nessuno o centomila. Quello era Zizzo, prendere o lasciare.

I “tuoi” calciatori c’erano in fila, i tuoi compagni di palcoscenico pure, ne hai cresciuti tanti negli anni. Ciao Zizzo, quando ci incontravamo, tu ti avvicinavi da lontano con quell’incedere lento e quella camminata sghemba, ma che confortava gli occhi che roteavano in giro scrutando i passanti, per vedere e carpire sentimenti, magari facevamo due passi discutendo dei fatti nostri, tu raccontavi, raccontavi, parlavamo anche tanto del nostro amore comune, il Teatro, ogni genere di Teatro e alla fine, a voce che cresceva più intensa, più alta, dicevi: “Te vojo bé, non te lo scordà, e dillo pure a quell’altri due impiastri dell’Onafifetti”.

Come sempre, avrai scostato, scommetto, la tela del sipario per vedere quanta gente era venuta per te, oggi, ed avrai detto “anche stavolta tutto esaurito”. Le tue ragazze ti hanno ricordato con amore, mentre un refolo di commozione riempiva la chiesa di San Pietro Martire.

Franco Morici, Zizzo

Vittorio Massaccesi ti ha salutato con tutto l’affetto che aveva per te.

E mentre il cigolio lento del telone chiudeva per l’ultima volta il sipario, un immenso applauso ti ha salutato, Franco Morici, “artista” a tutto tondo che non dimenticheremo mai.

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