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Jesi Emergenza carceri, una realtà che non fa comodo guardare

Il Commissario capo Nicola De Filippis, Comandante del carcere di Montacuto di Ancona ospite del Rotary Club Jesi Federico II

di Tiziana Fenucci

Jesi, 2 dicembre 2022Sovraffollamento, spazi da ristrutturare, mancanza di personale per le attività rieducative.

«La situazione delle carceri in Italia è una realtà che non fa comodo guardare», ha sottolineato il Comandante della casa circondariale di Montacuto ad Ancona, Commissario capo Nicola De Filippis, ospite della serata organizzata dal Rotary Club Jesi Federico II, al Circolo Cittadino.

Sono 320 i detenuti ospitati nella casa circondariale di Montacuto, che da regolamento dovrebbe ospitarne solo 257, il 50% dei quali sono stranieri, il 40% tossicodipendenti e il 60%  soffre di disturbi psichici e della personalità. Ma per le Marche c’è solo una struttura (Rems) idonea a ospitare questa tipologia di casi e ha solo 19 posti.

Nicola De Filippis con il presidente Marco Pozzi

«Non abbiamo il personale sufficiente per gestire i malati psichici, che avrebbero bisogno di un’assistenza specifica, né per attuare un’attività rieducativa soddisfacente – ha detto il Comandante -, nel carcere di Montacuto il personale dovrebbe essere di 176 unità invece ce ne sono 110, dovrebbero intervenire 8 educatori ma ce ne sono 3. Lo psicologo viene solo una volta a settimana».

A questo si aggiungono le condizioni della struttura, che risale agli anni ’80, e il sovraffollamento, per cui soprattutto nelle sezioni di media sicurezza non sempre si riesce a rispettare lo spazio di 3mq a detenuto, ha spiegato Nicola De Filippis.

Nicola De Filippis ospite del Rotary Club Jesi Federico II

Dati sconfortanti che non permettono alla Polizia Penitenziaria di poter organizzare in modo adeguato, insieme agli operatori dell’area trattamentale, le attività rieducative, come il lavoro, l’istruzione, le attività sportive, ricreative e religiose. Fondamentali per attuare l’effettiva funzione rieducativa della pena.

«Per questo lavoro ci vogliono cuore e coraggio, la capacità di sospendere il giudizio sul detenuto e dargli fiducia nel suo percorso trattamentale – ha spiegato Nicola De Filippis -. Ideologicamente il carcere è visto dalla società come un luogo da tenere lontano dove vanno a finire i nemici dello Stato. Una volta che il soggetto viene arrestato non se ne parla più, viene escluso dalla società».

«Si parla poco anche della Polizia Penitenziaria, che conta 43 mila dipendenti in Italia, e del lavoro di rieducazione che viene fatto sul detenuto e che dovrebbe permettergli di essere reintegrato nella società, dopo il periodo di reclusione».

Nel caso delle attività lavorative remunerate, all’interno del carcere il Comandante ha evidenziato la mancanza di fondi per far lavorare tutti e l’assenza di un ventaglio di offerte lavorative che permetterebbero ai detenuti di acquisire delle nuove abilità da poter spendere fuori, potendo occuparsi attualmente solo delle pulizie.

Anche per il settore dell’istruzione, la scelta è limitata a percorsi formativi in ambito di elettrotecnica, mentre molti detenuti dimostrano interesse anche per le materie di agraria o del settore alberghiero. Se la funzione rieducativa viene meno, aumenta il rischio di recidiva al rientro nella società e aumentano le patologie psichiche, l’autolesionismo e i tentativi di suicidio in carcere.

«In Italia su 54.500 detenuti il 62% ha commesso più di un reato, il 18% più di 5 – ha spiegato il Comandante -, in queste condizioni il carcere tende a deresponsabilizzare i detenuti e a togliere dignità. Invece di rappresentare un modello di inclusione, diventa un luogo di esclusione che crea disuguaglianza. Esclusione che si manifesta anche al rientro in società, un momento in cui il detenuto non è sostenuto da politiche di reinserimento e inclusione».

L’autolesionismo e le rivolte nelle sezioni segnalano un profondo disagio che riguarda le condizioni abitative all’interno della casa circondariale e l’assenza di una prospettiva di speranza verso un miglioramento delle condizioni di vita una volta scontata la pena.

«E’ necessario ripensare a un nuovo senso della pena – ha detto Nicola De Filippis – si è persa di vista la promessa della Costituzione e non vogliamo ammettere che, così com’è ora, il carcere rappresenta solo una forma di segregazione. La sentenza invece dovrebbe rappresentare il punto di partenza di un percorso di riabilitazione del detenuto», che possa restituirlo alla società come soggetto rieducato in grado di reintegrarsi nel tessuto sociale.

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