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JESI In ricordo di Armando Magnani e Primo Panti, fucilati dai fascisti

Combattenti per la libertà, l’8 e il 9 febbraio 1944 furono trucidati dai repubblichini

Jesi, 9 febbraio 2020 – Una storia di guerra, di resistenza, di uomini, di Jesi.

Correva l’anno 1944. Precisamente l’8 febbraio, alle ore 10, in via XX settembre, appena fuori le mura dell’orfanotrofio, un gruppo di repubblichini guidati dal console Gardini scaricò un numero imprecisato di colpi da arma da fuoco su Armando Magnani, 52enne residente a Belvedere Ostrense. Il suo corpo restò abbandonato sul posto fino a tarda sera.

I buchi lasciati dai proiettili

L’accusa, ovviamente non provata, sostenuta dai fascisti di allora, era quella di aver partecipato alla sottrazione di grano all’ammasso di Staffolo, per poi di distribuirlo alla popolazione civile. Insieme a Magnani, avrebbe dovuto subire la stessa tragica sorte Augusto Bernacchia, salvato solamente dall’intercessione decisiva di don Arduino Rettaroli e don Gino Paoletti. Augusto Bernacchia, che faceva parte del Cln, e dopo la liberazione consigliere comunale tra le fila del Pci, fu però costretto ad assistere all’esecuzione dell’amico Armando. Morì nella sua Jesi nel 1995.

Il giorno seguente, 9 febbraio, nello stesso luogo, intorno alle 17, la  morte fu imposta a Primo Panti, muratore jesino catturato nell’ennesimo rastrellamento a Staffolo.

Nei mattoni che compongono il medaglione divisorio tra la via e l’ex orfanotrofio si possono notare ancora i buchi lasciati, in memoria, dai proiettili.

Oggi 2020, una targa in marmo ricorda il tragico episodio, e tra un fiore lasciato dai passanti, qualche polemica per la poca attenzione pubblica e auto che sfrecciano, resta inossidabile il ricordo di un pezzo di storia jesina, anche se tragica.

Marco Pigliapoco

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