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Cronaca

JESI KARIM, IL COMBATTENTE ITALIANO CONTRO L’ISIS: “IL PENSIERO VA ALLE VITTIME DI BRUXELLES, LA STRAGE SCUOTE TUTTI NOI”

Karim Franceschi (foto pienne)

Karim Franceschi
(foto pienne)

JESI, 23 marzo 2016 – “Dopo quello che è successo nella capitale belga il pensiero non può che andare alle vittime, la strage di Bruxelles scuote tutti noi“.

Una scia di sangue che avvinghia il nostro mondo, che si collega a Parigi, Londra, Madrid, New York, all’Africa, al Medio Oriente. Sono in tanti, troppi, a morire. Ovunque e senza distinzioni.

Karim Franceschi, 26 anni, nato a Casablanca, cresciuto a Senigallia, madre marocchina, padre italiano: è lui il combattente italiano di Kobane, nella Rojava, nord ovest del Kurdistan siriano, che ha affrontato i miliziani dell’Isis. Kobane, dove il califfato ha subito una pesante sconfitta ad opera dei curdi e dei volontari che, come lui, hanno combattuto e combattono al loro fianco.

Un’esperienza che l’ha segnato, tre mesi dal gennaio 2015, dentro una guerra spietata, maledetta, continua “e con tutto questo – confessa – ho dovuto fare i conti, ancora oggi”.

(foto pienne)

(foto pienne)

Karim ne ha tratto un libro, scritto insieme al giornalista Fabio Tonacci, “Il combattente“, che ha presentato allo Sca Tnt proprio ieri, 22 marzo, davanti a una platea attenta, che non s’è persa una sola battuta della sua testimonianza, sviluppatasi attraverso ricordi, situazioni, considerazioni e rivendicazioni a un’appartenenza che ha sostenuto la sua scelta di andare per “difendere la libertà e la democrazia, così come fece mio padre, partigiano, sulla linea gotica”.

Negli ultimi mesi del 2014 si trovava in un campo profughi in Turchia, al confine curdo-siriano e “mentre distribuivo caramelle ai bambini vedevo i bombardamenti, sentivo la violenza della guerra dall’altra parte, così vicina. Lì ho deciso che il mio posto sarebbe stato con i partigiani di Kobane e lì sono andato per aiutare la gente. Non ho fatto il servizio militare, né avevo mai imbracciato un fucile eppure, da un giorno all’altro, mi sono trovato in prima linea con  gli Heval, i compagni-amici-fratelli dell’Ypg (Yekineyen parastina gel, l’Unità di protezione del popolo – ndr -). Non me lo aspettavo”.

Giunto per dare una mano, Karim si è presto trasformato in un cecchino, uno tra i più vecchi con i suoi 25 anni di allora, al fianco di tanti giovani, adolescenti, e delle donne soldato dell’Ypj (braccio femminile dell’Ypg) “due di loro mi hanno addestrato, velocemente. Questa guerra è soprattutto la loro rivoluzione dopo secoli di oppressione, perché  prima che socialiste e curde si sentono, appunto, donne. E non si ritiravano mai, combattevano sino alla fine“.

(foto pienne)

(foto pienne)

Karim racconta di “aver visto morire amici, amiche, dilaniati, fatti a pezzi dagli jihadisti e non ci potevo credere quando mi hanno detto che non avremmo dovuto comportarci così con i nemici catturati ma che dovevamo consegnarli alla polizia curda. Perché? ho chiesto, e mi hanno spiegato che non uccidere i prigionieri serviva per mantenere vivo il nostro senso di umanità al servizio di un ideale più grande”.

Giorni di battaglia con scontri durissimi, distruzioni, rappresaglie, stragi di civili inermi, in una guerra feroce “che ci riguarda tutti, per questo bisogna essere responsabili, fare attenzione a quello che si dice, in quanto le parole di molti politici non fanno che gettare benzina sul fuoco e capire che il fondamentalismo è stato creato dall’Occidente con il suo interventismo continuo. L’Isis è una organizzazione criminale che sfrutta tutto questo. Le popolazioni che vengono liberate dalla loro oppressione sono felici, possono ritornare a fumare, a togliersi il velo, se vogliono, a respirare la libertà. Ma l’Isis continuerà sinché potrà fare affari con le potenze mondiali. Chi li arma? Chi compra il loro petrolio?”.

Karim Franceschi sarà ospite oggi della trasmissione Rai Radio Anch’io.

([email protected])

 

 

 

 

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