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JESI L’odissea dei paucisintomatici in quarantena

«In tutto il caos della burocrazia, i nostri “contatti stretti” a rischio li abbiamo dovuti avvisare noi, l’Asur non ci ha mai chiesto una lista di nominativi»

JESI, 26 novembre 2020L’odissea dei positivi asintomatici o paucisintomatici è ormai storia nota, ma vale la pena di segnalare la vicenda di una donna alle prese con Asur e tamponi.

Il caos dei “contatti stretti di contatto stretto di caso” (così recita la circolare del Ministero della Salute che spiega il da farsi in caso di positività).

«Tutto inizia da un sierologico fatto dietro la sola “prescrizione” del buon senso per dei sintomi da raffreddore un po’ anomalo (sinusite, qualche colpo di tosse, perdita dell’olfatto). Sebbene il medico di famiglia consigliasse di non allarmarsi in questo periodo di pandemia, dove a volte la psicosi potrebbe prendere il sopravvento, io e mia figlia decidiamo di andarlo a fare in un laboratorio analisi privato».

Risultato: entrambe positive al Covid.

«Da qui le situazioni più assurde per la gestione da parte di ogni organo sanitario nei confronti di un virus con il quale è meglio non impattare, altrimenti sono guai anche se per fortuna sei asintomatico».

Partono le complicazioni causate dalla burocrazia per le varie comunicazioni agli enti pubblici e locali per dichiarare il tuo “stato”.

«Il medico per i certificati, la bolgia dei decreti dentro i quali ci si perde anche solo per capire quanti giorni devi startene isolato in casa! “Isolato” poi… un termine che non sempre vale se ti trovi ad abitare in un appartamento normale, in 4 persone di cui 2 infette. Ma fin qui ti arrangi, fai del tuo meglio, se tutto sommato sei malato ma paucisintomatico».

«Il medico ci ha quindi fatto l’impegnativa per il tampone, di nuovo in una clinica privata (altri 200 euro di tasca nostra) perché senza febbre l’Asur non si fa viva. Chiaramente serviva una clinica convenzionata Asur – ma ancora non sapevamo che i primi sierologici, fatti da un laboratorio diverso, non sarebbero stati contati…».

«Gli altri membri della famiglia sono risultati negativi, ad eccezione mia, che lavorando in un ente di sanità pubblica ho fatto il test presso il loro laboratorio analisi, confermando l’esito dello screening sierologico. Per precauzione, anche i negativi della famiglia restano a casa 10 giorni, ognuno nella propria stanza con obbligo di disinfettare sempre ogni cosa, distanti e mascherine».

«Nessuno si accorge di noi, se non dopo più di 10 giorni».

«Arriva il mio certificato medico al mio ente, all’Inps e all’Asur, che si degna finalmente di chiamare e di inviare qualcuno a ritirare la spazzatura (pensavano che non avessimo prodotto rifiuti in tutti quei giorni?), senza istruzioni o preavviso. Ma le date che l’operatrice segna sono sbagliate, praticamente casuali, e non tengono conto del primo sierologico effettuato, per non parlare del fatto che non sembrava neppure aggiornata sugli ultimi protocolli, seguendo piuttosto quelli del marzo scorso. Nessuno che ci abbia chiesto come stessimo e se avessimo bisogno di qualcosa, sei solo l’ennesimo caso che fa numero alle liste che tutti i giorni sentiamo in tv – e per fortuna non abbiamo da lamentarci rispetto a tante altre persone. Di 4 certificati emessi, nessuno è uguale all’altro: un membro deve addirittura proseguire la quarantena “fino a data da destinarsi”, un altro fino a dicembre 2021 (sic). Partono le telefonate dell’assistenza sanitaria a tutte le ore, che attraverso una voce registrata chiede quotidianamente conto dei sintomi di un solo elemento della famiglia».

Il lavoro di prevenzione e interruzione della catena dei contagi “fai da te”

«I nostri “contatti stretti” li abbiamo dovuti avvisare noi, l’Asur non ci ha mai chiesto, come dovrebbe invece essere da prassi, una lista di nominativi potenzialmente a rischio. E ognuno di loro si è dovuto mettere in quarantena spontaneamente o si è dovuto testare privatamente, pagando di tasca propria».

«Altri due giri di tamponi, stavolta alla Croce Rossa: caso negativo che diventa positivo, positivo che si era negativizzato torna positivo. E adesso? Nuovo valzer di telefonate per capire chi sta dentro, chi può uscire, chi deve rifare altri tamponi e quando».

«Io “a statuto speciale” devo fare un tampone a settimana in attesa di un risultato negativo per la riammissione in servizio, nonostante ormai sia libera di uscire avendo carica virale bassa, secondo le disposizioni del Ministero per cui trascorsi i 21 giorni di quarantena – senza sintomi – il soggetto può essere riammesso in società perché non più contagioso. E allora? Avanti con la malattia per coprire le giornate di assenza in ufficio, ma l’Asur mette in discussione anche questo protocollo».

Insomma? To be continued…

(Redazione)

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