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JESI MADAMA BUTTERFLY, UN SUCCESSO ANNUNCIATO AL PERGOLESI

I cantanti, giovani e alcuni al debutto, hanno convinto sia nel canto sia nei movimenti scenici il foltissimo pubblico del teatro

JESI, 21 ottobre 2019 – Si è concluso il viaggio di Benjamin Franklin Pinkerton, sceso dalla sua nave per andare a trovare la giovincella Cio Cio San, eroina dell’opera forse più moderna di Puccini, approdando con successo sulle assi del vecchio e saggio Teatro Pergolesi, che ne ha ospitate tante di Madama Butterfly” negli oltre duecento anni di vita (io ne ho vista una buona parte…).

Ma si può definire successo quando muore ancora una volta la giovin fanciulla suicidandosi per amore? Ebbene sì, il fascino di quest’opera è tutto nell’attesa, nella menzogna, nel falso, nella dignità ferita. E nelle conseguenze cui essi porteranno.

Qualcuno mi ha chiesto in platea il parere sui suicidi nelle opere liriche, io gli ho detto che il tema del suicidio, inteso come estremo gesto d’amore, è identico nella sua tragicità eppure diverso nella forma e nei suoi effetti. Perché gli eroi, tutti giovani e belli, debbono fare la fine che il libretto e la partitura gli impongono.

Gli ho proposto una soluzione per cui Madama Butterfly si getta da Castel Sant’Angelo, Tosca si trafigge con la katana e Liù si beve un drink avvelenato. Non mi è parso convinto. Allora siamo entrati a goderci questa edizione di “Madama Butterfly”, restando colpiti dalla preparazione scenica che collocava immediatamente in un ambiente specifico il teatro dell’azione che si sarebbe svolta.

Abbiamo visto la dolcezza di Cio Cio San, fresca ragazza che si pone domande, che “aspetta”, senza sicurezze o certezze, eccetto l’amore che nutre verso l’americano Pinkerton. Solo quello basta a calmare le ansie impersonate dalla scettica Suzuki che teme una delusione dal marinaio: ma Cio Cio San sa aspettare, è fedele e fiduciosa.

Sarebbe lungo e complesso abbracciare insieme l’intero significato del testo e di alcuni brani che hanno fatto la storia della musica. Butterfly è completamente devota allo sposo: è una devozione fortemente fisica ma altrettanto spirituale. Quello che ci ha fatto volgere il pollice in alto è stata la fedeltà quasi assoluta alla partitura e alle scene che, come in un film ben costruito, si svolgevano sotto i nostri occhi e dentro la nostra mente.

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È inutile che raccontiamo, nome per nome, tutti gli interpreti che nelle tre serate, di cui una dedicata agli studenti che ha riscosso ovazioni da concerto rock, si sono espressi al massimo delle proprie interpretazioni dei vari personaggi.

Non ne avremmo lo spazio ma basta unirli tutti insieme in un applauso e in un abbraccio di grande stima. Il Maestro David Crescenzi ha tenuto l’orchestra in uno stato di commossa partecipazione, il regista Matteo Mazzoni e lo scenografo Benito Leonori l’hanno collocata in un ambiente che ha riempito di significati, metafore e azioni lo svolgimento della trama.

È emersa, prepotente, la passione travolgente di Butterfly, che ci riporta con la mente ai testi amorosi di antichi poeti, intrisi di un sentimento fortissimo.

“Un bel dì vedremo” è il prodotto dello spirito della protagonista in attesa fiduciosa del ritorno di Pinkerton. Il coro muto ci ha poi spedito per l’ennesima volta in una dimensione che, con l’età, avremmo dovuto considerare superata.

Altra chicca da interpretare, è perché i personaggi giapponesi in scena non mostrano il loro vero volto, ma tutti indossano le maschere proprie del teatro Nō, raccontando emozioni attraverso espressioni codificate nei secoli.

Mi ha detto Mazzoni e gli ha fatto eco Leonori, che «se l’amore raccontato è falso, se il matrimonio stesso è una recita, allora di conseguenza anche il nostro allestimento non può essere vero, oggettivo. Tanto è vero che domina un enorme foglio di carta bianca dal quale ottenere diversi origami, che non riproducono la realtà ma la sintetizzano in astrazione. Ne emerge un Giappone fedele ma visionario, con la tipica ricercata ritualità e delineato da un complesso progetto di videoproiezioni, immagini e illustrazioni originali, riviste e rivisitate, fino a raggiungere il piccolo mondo di Butterfly, fino alla sua solitudine orgogliosa».

Un successo annunciato, il Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini” ha costruito attentamente attese e passione, l’orchestra ha dato le giuste emozioni a questa vicenda che, per certi versi, sembra essere un film girato proprio in questi tempi.

I cantanti, giovani e alcuni al debutto, hanno convinto, sia per il canto sia per i movimenti scenici, il foltissimo pubblico del Pergolesi per le varie repliche.

Di molti di loro si sentirà ancora parlare. In bene, ovviamente.

Giovanni Filosa

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