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JESI MARINO CAROTTI, MUSICISTA E CANTASTORIE

JESI, 15 giugno 2017 “Galantòmo fu mio padre!”. Un compact disc di canti della cultura orale marchigiana ideato, raccontato e cantato da Marino Carotti.

Jesino purosangue, Carotti ha fatto parte per diversi anni del gruppo di ricerca e canto popolare La Macina per poi iniziare una sua personale ricerca su canti e tradizioni popolari della cultura contadina in tutte le province del territorio marchigiano.

“Ho percorso campagne, città, paesi – è il suo racconto – alla ricerca di informatori, persone anziane, disponibili a ricordare e a trasmettere quelle canzoni antiche e suggestive che intonavano mentre lavoravano sui campi. Ho utilizzato un registratore per archiviare la loro viva voce. Alla fine del lungo lavoro ho ottenuto più di mille canti che successivamente ho trascritto di nuovo realizzando una raccolta di ballate, canti narrativi, di cantastorie, di lavoro e sul lavoro, sull’emigrazione, di guerra, rituali di questua, scioglilingua, fiabe a formula, filastrocche, giochi e conte infantili, giochi motori, ninne-nanne, serenate, poesia religiosa, satirica e d’improvvisazione, stornelli d’amore, licenziosi, dispetti e narrazioni degli stessi informatori.

Il tutto a riguardo di tradizioni, usanze e canti trasmessi oralmente fino alla metà del secolo scorso, che sono rimasti solo nella memoria di poche persone anziane ancora viventi. Quando tornavo a casa ci lavoravo sopra al computer con grande passione cercando di sistemare ad esempio la fonia: certe lettere non sono ben definite, da zona a zona. La lettera ‘T’ spesso diventa una ‘D’. In seguito, ci sto davvero lavorando, uscirò anche con una pubblicazione cartacea fedele alla trascrizione ma in italiano e lasciando le parti proprio particolari che è bello mettere in dialetto”.

Dopo anni di sola ricerca, Carotti ha iniziato a riproporre alcuni di questi preziosi brani nei suoi spettacoli accompagnandosi con la chitarra classica o l’organetto, a volte insieme a un fisarmonicista, rispettando sia la melodia che il linguaggio degli informatori.

Ma come è nato il tutto, come è nata questa passione per la musica? “Ho iniziato con la musica a 9 anni – continua l’esposizione del musicista cantastorie – e sono andato a scuola da Giovanni Bigi, uno jesino come me. Per lo strumento della chitarra, comunque, sono autodidatta ed a 13 anni già facevo parte di gruppi musicali . La passione per il canto popolare è stata sempre mia, alimentata con il tempo.  Pensavo di conoscere l’età contadina ma non è così. In questo disco ‘Galantòmo fu mio padre!’ ho messo una parte di questi brani che ho raccolto e ho chiamato degli amici per ogni pezzo: Giuseppe Ospici, Fefo Catani, Corale Brunella Maggiore. Ad esempio per le ninne nanne ho raccolto tanti frammenti e poi ho fatto arrangiamenti particolari e legati tutti insieme aiutandomi con la chitarra. Stesso discorso con le tiritere dove ho chiesto e ricevuto la collaborazione della Scuola Media Savoia di Jesi. L’album è del 2016: la gestazione è stata particolare. L’ho presentato in due spettacoli a Polverigi e Morro D’Alba ma nella mia avventura ho fatto spettacoli in tutta Italia, ad esempio sul Lago Maggiore,  mandando delle proposte agli assessori alla cultura dei vari Comuni.  Di questo disco ho anche realizzato un album di partiture musicali. La prefazione dell’album è opera di Gastone  Pietrucci. Dare il titolo è stato un piacere in ricordo di mio padre Nello ma il titolo stesso è anche una frase di una canzone che sta all’interno delle musiche. Sul libretto, su ogni canto, c’è scritto dove è stato raccolto, quando, e i nomi degli informatori che hanno partecipato”.

Nella prefazione il leader della Macina scrive di Carotti: “Marino è interprete sicuro, appassionato, ma quello che mi ha sempre colpito di lui è la forza della sua chitarra, veramente straordinaria, accattivante, a tratti travolgente. Si sente una grande maestria, un grande tocco, una grande bravura ed una grande invidiabile tecnica”.

Insomma nel lavoro di Marino Carotti oltre alla passione per la propria terra, per il proprio lavoro di ricercatore musicale e culturale, per la tradizione, c’è la passione per il canto come forma di comunicazione. E’ proprio vero che la cultura, soprattutto quella popolare,  è comunicazione e la cultura non muore mai se ci sono attori che la comunicano e la tramandano nel tempo.

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