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Jesi “Messaggi dal gruppo ME”, il debutto letterario di Francesco Coltorti

Presentato al Vox Live Pub il libro sperimentale che trasforma il caos interiore in un racconto collettivo: pensieri, emozioni e riflessioni nate da un gruppo WhatsApp creato per se stessi




di Iscra Bini

Jesi – «Messaggi dal gruppo ME più che un libro è un esperimento narrativo, qualcosa di inedito, difficile da incasellare in un genere letterario».

È anche il titolo della prima fatica editoriale di Francesco Coltorti, classe ’85, «padre d’Aria (nome della figlia), marito amorevole, docente di Scienze umane, consigliere di maggioranza, piccolo borghese jesino, paraculo, membro attivo e colpevole della società di provincia che viviamo», così si definisce.

Con la collaborazione della lettrice Lucia Malatesta, che ha dato la voce ad alcuni brani e dell’intervistatrice/relatrice Chiara Stancati, l’autore ha presentato il libro, edito da Scatole parlanti di Viterbo, lo scorso 16 marzo, al Vox Live Pub, davanti a una platea di amici, familiari, colleghi, ex alunne, accolti subito in un’atmosfera informale e rilassata.




«Un libro meta narrativo che trasforma il caos interiore in un cosmo», introduce Chiara Stancati. Sembra tanta roba, per essere stata racchiusa in centoventi pagine. Ma il suo autore si schernisce, fa spallucce, minimizza e lo declassa a libraccio, definendo la propria una «opera odiosa perché specchio riflesso dell’autore stesso».

E protetto dallo scudo della chitarra, inizia a raccontarne la gestazione.

«Il tutto è nato da una recente tendenza social, diffusa molto tra i giovani, che creano su whatsapp un gruppo, dove registrarsi come unico membro e lo usano come contenitore di pensieri, riflessioni personali ed ispirazioni».

Sicuramente uno strumento più pratico e immediato del vecchio diario, dato che ormai lo smartphone è diventato prolungamento dell’essere umano.

«Mi fisso su qualcuno per dimenticarmi di me stesso», confessa Francesco Coltorti tra una risposta, una birra, una lettura e una canzone. E l’esercizio di autoanalisi diventa un libro, declinato alla prima persona plurale, «perché comprende anche me», ed è come aprire il taccuino personale di qualcuno che ha scritto una serie di pensieri sulla sua vita, utilizzando una forma originalissima e attuale di arte alla portata di tutti, che «contiene tante linee di partenza ma nessuna di arrivo».

Poesie buttate lì, senza preavviso logico, paesaggi emotivi, aforismi, considerazioni contro qualche guerra e varie forme di ingiustizia, alcuni racconti con la storia, umana o politica, «di cui nessuno vuole più parlare e che si riconosce in paradigmi nuovi come la fiducia nel genere umano», più che nelle ideologie di un tempo.

Il libro diventa una conversazione tautologica, che messaggia e massaggia il lettore e soprattutto il suo autore, il quale si definisce un essere umano borghese come tanti, diffidente e scettico, autocritico, cresciuto e attaccato alla dimensione della provincia che odia e ama, perché luogo del cuore e contemporaneamente generatore di dipendenza, impossibile da lasciare, ma dalla quale fuggire attraverso la poesia o qualsiasi altra forma d’arte, per lenire l’amara consapevolezza che «una buona mente sanguina eccome».

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