Segui QdM Notizie

Cronaca

JESI Si è spento a Bruxelles Roberto “Pat” Capogrossi

Oggi all’età di 78 anni nella sua abitazione, si è sentito sempre e assolutamente jesino: gli anni della musica, della chitarra, dell’ironia, della Rotonda a Senigallia, del “Quinto battaglione svinatori” e del lavoro come alto dirigente della Commissione Europea

JESI, 22 ottobre 2021 – “Il rinnovato campo del Comunale, più tempo passa e più ci porta male, per non sciupà l’erbetta che costa cara, gimo a allenacce a Moie o a Falconara”.

Ecco, con Roberto “Pat” Capogrossi in una serata di 54 anni fa, al Pergolesi, nacque il gruppo i Creaguaios (nomen omen), prima addirittura degli Onafifetti. Tre chitarristi, il sottoscritto, Pat e Sardella, tre dodici corde, una gran voglia di far ridere il pubblico con una prima esperienza di quella satira e ironia che sarebbero state poi la nostra cifra.

Scritta quando il Campo comunale di Jesi aveva l’erbetta appena fatta che non si poteva sciupare. Roberto, da ora lo chiamerò Pat, se n’è andato, a 78 anni, davvero in punta dei piedi. Ci ha lasciato. Ci ha salutato da Bruxelles, dove viveva, oggi intorno alle 13. Non è retorica, i suoi ultimi tempi sono stati uno strazio, ha combattuto come un leone “rampante contro una malattia che non gli ha dato scampo.

Le ultime settimane le ha passate a casa sua, poi la figlia Sara mi ha avvertito che le sue condizioni erano irreversibili e che, ormai, sua madre Eva ed i suoi cari avevano preparato le valige per l’ultimo viaggio. Non riesco a mettere insieme, così di getto, i miei ricordi dell’amicizia con Pat. Vado a flash.

La frequentazione cominciata nel periodo della nascita dell’Asuj (Associazione studenti universitari jesini), un club che si trovava, allora, praticamente quasi all’altezza della statua di Pergolesi, ma sotto terra, lì c’era un edificio che poi fu abbattuto per creare un’ampia piazzetta, ci avevamo portato a suonare e cantare anche i Gufi.

Da quel posto, nascevano le spedizioni verso il mare, Rotonda di Senigallia, Rimini e locali da ballo (con musica lenta da pomicio, con l’hully gully, il cha cha cha) e Pat che si esibiva col suo complesso. Ma sì, dimenticavo (???) che Pat aveva una voce ben impostata, un colore gradevole e ruffiano, si era scoperto anche cantautore e, innamorato del cantante americano Pat Boone, ne ”rilevò” il diminutivo.

Se raccontassi, io come tanti degli amici che formavano una corte compatta ed epicurea, tutte le vicende quotidiane, ci vorrebbe un libro. Pat aveva più amici che i fagioli nella boccia di vetro di Raffaella Carrà. Capitava (qualche volta o spesso???) che dovessimo accompagnarlo la sera a casa, in viale della Vittoria, perché magari avevamo fatto qualche bicchiere in più. Nacque allora, fine anni Sessanta, il famosissimo “Quinto battaglione svinatori”, con tanto di etichetta cucita sul maglione, cose serie. Eppure… era uno studente modello. Mi raccontava i suoi ritmi universitari. In qualsiasi stato tornasse a casa, al mattino dalla 9 alle 12 e nel pomeriggio dalle 15 alle 18 studiava economia e commercio. E lo fece talmente bene che ha raggiunto, dopo aver un po’ girovagato per l’Europa, uno dei posti di dirigenza come capo di una unità della Commissione Europea.

Eva, sua moglie, l’aveva conosciuta, se ricordo bene, alla Rotonda di Senigallia, uno dei locali della sua vita, l’altro, immaginario ma… reale, ve lo racconterò fra poco. Eva, una ragazza inglese bellissima e dolcissima, alla quale abbiamo sempre detto, magari sottovoce ma sempre scherzandoci sopra, “ma chi te l’ha fatto fare” a prenderti uno come Pat! Io avevo ancora nella testa, ritornando a quando eravamo meno… seri, le serenate, con giro di do maggiore, sotto alle finestre di una giovane ragazza di cui si era innamorato. Ne parlava spesso con mia madre, si vedeva che era cotto! Ma Eva gli ha cambiato la vita.

Dicevo delle canzoni. Incise anche dei dischi e partecipò a trasmissioni Rai di grande successo, tanto che aveva pensato, prima della laurea, di intraprendere quella strada. Il suo mentore era il “Maestro Mescoli” e “Mai mai nessuno mai” il suo successo più conosciuto. Ma anche “Un amico come te”, credo dedicata ad AgnolìAngelo Domenichetti facevano vedere la sua capacità e il suo talento. Ha suonato con tanti amici musicisti che lo hanno sempre accompagnato. Ci vorrebbe una raccolta di aneddoti.

Come mi ha detto la figlia Sara, suo padre si è sentito sempre assolutamente jesino. Jesino, “figlio e fiero di Jesi, fino all’ultimo, in casa si parlava tra di noi jesino, e basta. Quando ha visto che alcuni suoi cari amici erano venuti a mancare, ha creato un immaginario locale in cielo, che si chiama “Blue Bar”, dove babbo vorrebbe che tutti quelli che gli sono stati vicini lo raggiungessero e riprendessero la vita spensierata e matta di prima. Babbo è un vulcano, un luna park, il mio caro babbo Koala”.

Già, allora in quel bar toccherà seguire la normativa sui distanziamenti: amava tutti i suoi amici, che erano diventati amici anche di Eva. Quando tornavano in vacanza a Jesi, nella loro casa dentro la Corte Bettini, il mio giornalaio, Marani, mi diceva: “Pat Capogrossi in arrivo!!!”. E con lui si apriva il Corso.

E ci si vedeva e raccontava. Un vulcano, certo, ma non un eterno Peter Pan, come ricorda la cugina Laura Capogrossi, era anche una persona responsabile, che dovendo crescere e maturare si è ritagliato spazi e amicizie con cui condividere gioia, spensieratezze ma anche i pensieri.

Adesso, caro Pat, ce li hai fatti venire tu i pensieri più tristi del mondo. Dai, prepara la tua chitarra, fra poco ti tocca.

Giovanni Filosa

(Le foto in posa nascono da un’intervista che gli avevo fatto alcuni anni fa. Mi piace ricordarlo così)

©RIPRODUZIONE RISERVATA

News