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JESI Spostamento fontana obelisco, il punto vero è come si cambia la città

La nostalgia è una bellissima emozione individuale, ma può essere un’esigenza collettiva?

JESI, 21 settembre 2020 – Sto seguendo con molto interesse il dibattito che si è sviluppato nella città attorno alla possibilità di riportare la fontana di piazza Federico II alla sua originaria collocazione in piazza della Repubblica, grazie al lascito di Cassio Morosetti da utilizzare a tale fine.

Credo che Morosetti abbia fatto un atto di grande generosità e che, al di là di come si concluderà la vicenda, ha avuto comunque il merito di aprire una discussione seria, anche di natura architettonica, urbanistica e storica.

Piazza Federico II con la fontana delle leonesse e l’obelisco

Non ho la competenza in tale discipline, cui mi sono accostato per lo più da amministratore della città, a fasi alterne, dalla metà degli anni ’70 fino a poco tempo fa. Se mi è consentito, vorrei contribuire con delle riflessioni.

Rispetto le ragioni e le argomentazioni di coloro che propendono per lo spostamento della fontana, ma alcune non mi convincono, almeno fino in fondo. Soprattutto in considerazione a due questioni:

1) È giusto tentare di riportare tutto come era in passato?

2) Che ruolo svolgono nella vita e nella cultura di una comunità le continue trasformazioni urbanistiche che nella città si susseguono?

Parlando con alcuni amici, propensi allo spostamento, ho argomentato che è bene non decidere sulla base delle sole opportunità finanziarie che si prospettano, ma in forza di un disegno complessivo, di idea della città e in particolare del centro storico, che si ha. Puramente conservativa o di valorizzazione e di socializzazione degli spazi, edificati e non? Ma poi, in definitiva, sono contrapponibili tali concezioni, o vanno integrate tra loro?

 

Ho anche sottolineato, nel corso dello scambio di idee (non di discussione si può parlare, trattandosi di uso dei social) che il solo riferimento al passato, può essere fuorviante. Difatti, a quale momento storico ci si può riferire, e quindi fermarsi?

Casualmente in questi giorni, in ausilio e a conforto di queste mie considerazioni, mi è tornato tra le mani una copia del Dialogo del 1983, il n. 7 del 1983, di cui ero allora direttore, con una intervista a Giancarlo De Carlo, un maestro dell’architettura del ‘900, sul progetto per il recupero del complesso San Floriano Mestica e della piazza Federico II che l’Amministrazione di allora gli aveva commissionato. Il progetto suscitò un grande dibattito nella città, promosso e anche molto seguito dalla rivista Jesi e la sua Valle.

Nella parte relativa alla piazza non andò in porto, anche per via delle perplessità di parte del mondo cattolico che ci vide un tentativo di marginalizzazione della Cattedrale in favore del polo laico con la valorizzazione del San Floriano e della piazza (U.C., Voce della Vallesina, n. 28 del 25 settembre 1983, “Perplessità sul progetto della nuova piazza del Duomo”).

 

Perplessità che poi si tramuteranno in opposizione, finendo per affermare che nel progetto De Carlo, il Duomo, centro millenario di Jesi, viene del tutto ignorato (U.C., Voce della Vallesina, n. 32 del 30 ottobre 1983, “Piazza del Duomo da salvare”).

E per ultimo anche della contrarietà della Democrazia Cristiana, per bocca dell’amico Gioacchino Belluzzi, segretario del partito di allora (Carlino Marche, 11 gennaio 1984, “Jesi, la Dc si oppone alla ristrutturazione di piazza Federico II”). Tesi contestata dal progettista con valide argomentazioni, a mio avviso.

Ma non è di questo che si intende parlare. Ciò che sono ancora oggi interessanti e attuali mi sembrano alcune considerazioni, contenute nella relazione al progetto depositato e approvato in Comune, sui centri storici e la filosofia del recupero del De Carlo. Vale la pena di ricordare, a tale proposito, che il grande architetto, negli anni ’60 e ’70, progettò e seguì il recupero del centro storico di Urbino. Quindi il suo pensiero può costituire un utile contributo, al pari di altri di segno contrario, come quello di Mariano, alla discussione in corso.

Piazza della Repubblica

Circa l’obelisco, De Carlo, nella relazione citata, si chiedeva se, dopo esserci stato per un certo tempo, acquistasse ancora un senso farlo rimanere in piazza Federico II. Infatti, secondo il progettista, «anche se in modo goffo, distorcendo i rapporti intrinseci della struttura dello spazio, è tuttavia entrato nel sistema di caratterizzazione ed è percepito dai cittadini come un segno significante di identificazione… Eliminarlo sarebbe facile, ma il conservarlo può dare risultati più interessanti».

Scelse la seconda strada, prevedendo lo spostamento della fontana di fronte all’ingresso della sede della Cassa di Risparmio (oggi sede del museo Federico II), proprio per ricreare quell’equilibrio di geometrie nella piazza perduto quando fu spostato da piazza della Repubblica.

Sempre nell’intervista al Dialogo, De Carlo così motiva la sua scelta.

Piazza della Repubblica con l’obelisco al centro

«L’obelisco dà la sensazione, nello stato attuale, di essere stato portato via da un altro spazio dove in definitiva era considerato fastidioso. Cosi è difatti avvenuto, da piazza della Repubblica è stato spostato in questa piazza. Vi è stato messo un po’ a caso, e dico a caso non nel senso che è stato buttato li, ma vi è stato messo a caso nel senso che è stato trovato una specie di centro e in quel centro è stato posizionato».

«Il centro è stato letto nella maniera più elementare, cioè secondo certi incroci di diagonali; il che non è mai il vero centro di una piazza, perché il vero centro di una piazza è dato anche dall’incrocio di quei vettori di esperienze già detti in precedenza. Facendo tesoro di queste letture, l’obelisco, nel progetto, è stato solamente spostato ricostruendo una geometria complessiva che è possibile vedere nelle tavole di progetto, che riguarda anche certi spigoli, la facciata della cattedrale che una volta era il vero santuario in questa piazza, il modo in cui ci si arriva percorrendo la via Pergolesi ed è stato collocato in una posizione che, secondo me, ha la funzione, invece che di distorcere la piazza, come l’obelisco fa adesso, di ricomporla secondo un sistema di proporzioni smerigliate».

«E allora, l’obelisco si viene a trovare proprio sull’asse di questo spazio aperto, che è davanti alla Cassa di Risparmio, decentrato rispetto all’ingresso e complementare».

«In un primo tempo avevo pensato di togliere l’obelisco, lo trovavo completamente spaesato ed estraneato da questa piazza. In un secondo tempo mi e venuto in mente che era troppo facile la soluzione di levarlo, che era più interessante invece mantenerlo dal momento che l’obelisco ormai è lì da tanti anni e rappresenta un segno a cui la gente bene o male si riferisce. … Ho pensato pertanto che era arbitrario sottrarre un segno che ormai ha assunto un significato».

«Il problema non era quello di levarlo, ma era quello di integrarlo in una nuova composizione».

Circa la sua filosofia del recupero, l’architetto così continuava:

«Ho detto prima che progettare vuol dire trasformare, io sono completamente ostile all’idea che il centro storico debba essere restaurato come era, perché il come era non esiste, non esiste da vari punti di vista, non esiste perché non è mai esistito, perché siccome ha avuto una lunga storia è cambiato continuamente. Tutte le cose dell’architettura continuano a cambiare, quindi a che cosa ci fermiamo a Jesi, città di formazione romana, forse anche anteriore, dove ci fermiamo nella follia di ricostituirla come era?».

«Che facciamo? A quale dei suoi parametri ci dobbiamo rifare? Il come era non esiste concettualmente, la città è di per se stessa un fatto che continua a cambiare, allora il punto è come la si cambia e come la si continua a destrutturare per poterla ristrutturare a esigenza della gente attuale, e questa è l’unica cosa che conta».

Per finire, alcune considerazioni. Quella di Federico II, seguendo un progetto unitario di risistemazione delle piazze, è stata la prima ad essere stata rifatta. In questo caso, non come nel progetto di De Carlo, ma con un altro disegno, si è riusciti a superare quelle asimmetrie che anche l’architetto rilevava e cui aveva dato una risposta. Dopo piazza Pergolesi e quella della Signoria, che sono seguite in base allo stesso disegno, è previsto un progetto di risistemazione del Corso (che dovrebbe prendere l’avvio a breve) e di piazza della Repubblica (che non prevede il riposizionamento della fontana).

E allora, seguendo la lezione di De Carlo potremmo domandarci: se è vero che non esiste il com’era, che il punto vero è come si cambia la città, la qualità della progettazione e di come la si realizza, a quale esigenza attuale, anche culturale, risponde oggi riportare la fontana in piazza della Repubblica? A quale vissuto ed esperienza trova corrispondenza?

Leonardo Lasca

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