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JESI TINA MODOTTI HA FATTO LA STORIA DELL’ARTE E DELLA CONTEMPORANEITÀ

“Detto tra noi”, Giovanni Filosa intervista Francesca Macera, storica dell’arte e medievista, ideatrice del progetto espositivo della mostra fotografica in corso a Palazzo Bisaccioni

 

JESI, 22 aprile 2019 –  I giovani riscoprono i fotografi, quelli che operavano, intendo, quando non c’erano i telefonini a scattare in modo quasi compulsivo ogni cosa che gli gira accanto.

Datevi un’occhiata intorno, da Ancona a tutta la Vallesina, trovi personaggi che nel campo della fotografia, con una “macchinetta” in mano, facevano giocare gli elementi del cuore, della natura, delle vite che si muovevano intorno.

Fotografare è porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore”, diceva Henry Cartier Bresson, ma come non essere d’accordo con la grandissima scrittrice Isabel Allende quando dice che “Una bella fotografia racconta una storia, rivela un luogo, un evento, uno stato d’animo, è più potente di pagine e pagine scritte”.

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E se andate a vedere la mostra Tina Modotti, fotografa e rivoluzionaria, fino al 1 settembre in esposizione a Palazzo Bisaccioni , sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi, che ha impostato la sua missione in questi ultimi anni alla diffusione della cultura, non potrete che essere d’accordo.

Per la Modotti hanno lavorato in tanti, dal curatore Reinhard Schultz di Berlino a Francesca Macera, ideatrice del progetto espositivo.

Francesca Macera, storica dell’arte e medievista, cosa c’entra lei con questo mito del novecento?

«Chi sceglie di lavorare nel mondo dei beni culturali o segue la sua passione o deve lasciar perdere. Io l’ho scoperta e me ne sono innamorata. Semplice, tutto qui. Anche se per tanto tempo è stata al margine del mondo dell’arte e della cultura, forse addirittura accantonata, il suo profilo umano, oltre che artistico, mi ha colpito subito. Nell’organizzare il progetto, ho cercato di pulire la mia mente da tutto quello che era stato scritto o detto su di lei. Come storica dell’arte, metto al centro l’opera, sia essa un quadro, una scultura, una fotografia. Di Tina si è detto tutto, che fosse una femme fatale, una spia, un’arrivista ma in realtà era una donna fortissima. Da piccola lavorava in fabbrica, a Udine, perché era poverissima ma dentro di lei batteva un sentimento che la portava, comunque, verso il mondo dell’arte. Fece un po’ di teatro, poi il cinema negli Usa, addirittura divenne un’artista del cucito ma dopo l’incontro con il fotografo Edward Weston, scoprì la fotografia, un’arte giovane che permetteva anche ad una donna di sperimentare pure su se stessa. E questo accadde soprattutto in Messico».

Periodo che la fa divenire un’antesignana dei personaggi tanto cari a Guccini…

«Era una terra di rivoluzioni, che si stava risvegliando dalla guerra civile, che voleva che l’arte avesse un ruolo importante nella costruzione della società. Certo, forse era un’utopia, ma questo creava un clima di grande fermento. Lei fu rapita e si fuse completamente con questa realtà. In seguito girò molto, dalla Germania alla Russia per approdare anche alla guerra civile spagnola, dove conobbe i grandi fotografi e soprattutto Hemingway».

Ma il Messico fu una tappa notevole, vero?

«Lì conobbe e frequentò con affetto ed amicizia, Frida Kalo e Diego Rivera, pittore ed artista messicano, compagno della Kalo. Con loro ha diviso i momenti più importanti della sua vita, basta vedere le foto che si riferiscono a questo periodo».

Cosa rappresenta questa mostra organizzata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi per la città?

«È un grande evento, tutti se ne accorgeranno. È un’occasione per il pubblico di conoscere e approfondire, oltre che riscoprire, una grandissima artista del Novecento. E da questa mostra, uscendo, avrai conosciuto un personaggio che stimolerà a saperne ancora di più. Magari attraverso libri o film. Tina Modotti ha fatto sul serio la storia dell’arte e della contemporaneità».

Giovanni Filosa

©RIPRODUZIONE RISERVATA

 

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