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JESI Torna la magia del teatro con “Notte per me luminosa”

Dove eravamo rimasti? Si inizia con un minuto di silenzio, lungo e commosso, per ricordare quanti sono stati strappati a noi dalla pandemia: poi la messa in scena, superba

JESI, 30 maggio 2021Luce piena in sala, pubblico silenzioso come se temesse di interrompere un antico filo che si sviluppa tra palcoscenico, platea e palchi, dopo mesi che quelle poltroncine reclamavano fisicamente un “essere” pensante da accogliere, da cui sentire, ascoltare, vivere le vibrazioni e le emozioni di una serata a teatro.

E, prima di dire, come Enzo Tortora, ricordate?, “dove eravamo rimasti?”, si è alzato, lungo e commosso, un minuto di assoluto silenzio. Se l’orchestra avesse suonato qualcosa, l’emozione era talmente palpabile che neppure la Cavalcata delle Valchirie avrebbe potuto interrompere quella magia. E allora bene ha fatto il direttore artistico della Fondazione Pergolesi Spontini Cristian Carrara a creare, con il minuto di silenzio che il pubblico ha fortemente seguito, un rapporto con quanti, nel teatro e non solo, non importa se amici o conoscenti, sono stati strappati a tutti noi dalla pandemia.

Il Massimo jesino, con un pubblico ridotto seguendo le normative di legge, aveva voglia di riprendere il bandolo della matassa bruscamente interrotto con la lirica, con la cultura, con la musica dal vivo, col vicino (che sta a due sedie di distanza…) col quale scambi un’occhiata d’intesa, un lampo per il quale non serve un’analista di Ncis per decifrare una parola, una sola in quello sguardo, e la parola è “finalmente”. 

Così “Notte per me luminosa”, già programmata nella stagione scorsa e interrotta dalla pandemia, è diventata formalmente, almeno per chi scrive, una vera e propriaprima”.

Scritta da Marco Betta, con testo di Dario Olivieri, ha rivelato l’esistenza di un compositore che, oltre a essere un musicista capace di guidare la strada futura, non rinnega affatto la sua cultura musicale anzi, rafforza  la vera essenza della musica scritta “prima” che nutre quella di oggi.

Unisce musica e testi sognando Ariosto e alcuni suoi personaggi, non tutti ovviamente, fantasticando, e facendo suo il cammino che “deve e vuole” muoversi lungo un percorso che non è assolutamente agile e neppure facile, talvolta, da decifrare. Due metriche diverse da congiungere e da far vivere in scena.

La musica si presenta scandendo il tempo, con le sue note come gocce che cadono intervallate, che generano sensazioni diverse.

Il testo di Dario Olivieri ovviamente non segue l’orma dell’opera ariostea ma sceglie le emergenze poetico musicali e vi si inserisce coi suoi personaggi impalpabili, visioni che si muovono attorno al poeta Ariosto per risvegliargli la magia della creazione dei suoi eroi. Alcune arie sono molto belle e ci confermano che la musica, pardon, che l’opera contemporanea non tornerà mai ai vecchi canoni, sarà scritta per il pubblico del terzo millennio, solleciterà nuove visioni che dovranno essere supportate da un contesto ben amalgamato fra traccia musicale e libretto.

Certo, si dialoga cantando, con una scrittura gradevole e comprensibile che accarezza anche il fianco al barocco, così come alla musica popolare, alla liricità stessa in cui sfociano le voci degli interpreti. La messa in scena è superba, è un sogno come ce l’hanno sempre descritto ma che forse non siamo mai riusciti a fare alla stessa maniera.

Ottime le idee e le realizzazioni dei videografici, che ci hanno letteralmente trasportato in un sogno alla Chagall e nei suoi lavori sul teatro e la poesia, quindi applausi a Ginevra Fusari, Alice Gentili, al light designer Ludovico Gobbi e al video designer Luca Attili (la prossima volta traduco in italiano queste funzioni teatrali), alla bacchetta lineare e trasparente del direttore Marco Attura, che ha decifrato i nuovi simboli musicali proposti dal compositore Betta.

Ci sono colori e suoni per ogni emozione, distese sonore, onde improvvise ai bordi della luna, e a quelle ha pensato la regia attenta e sensibile di Matteo Mazzoni. Infine loro, Giacomo Medici, come Orlando e il pastore, Aloisa Aisembrerg (mezzo soprano, come Medoro e Astolfo), Margherita Hiber come Angelica e la voce narrante (Ariosto e se volete i nostri momenti lirici) di Michele Bandini, tutti all’altezza di questa nuova impresa.

Quando si ripartirà con la possibilità di riprendere anche le opere di repertorio, che richiedono masse che i “cecchini” che custodiscono le norme anti Covid oggi non permetterebbero mai, state tranquilli che  si ascolterà, insieme al “repertorio”, anche e sempre di più una musica che rappresenta l’attualità in cui viviamo. Un lungo applauso, alla fine, anche per essere ritornati lì, dove tutto è magia.

Giovanni Filosa     

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