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JESI Udi: «Legge 194, una conquista da difendere»

La sezione jesina dell’Unione donne italiane: «Diritto all’autodeterminazione e alla salute anche nella nostra regione»

JESI, 24 maggio 2021 – L’Udi di Jesi evidenzia le carenze di applicazione della legge 194 /78 a 43 anni dalla sua approvazione e in particolare  gli impedimenti organizzativi e giuridici  che la Regione Marche frappone all’accesso all’aborto farmacologico con la pillola Ru486, alla luce delle linee di indirizzo emanate dal Ministero della Sanità nell’agosto del 2020.

Casa delle donne
A sinistra Francesca Bartolacci

Il 22 maggio del 1978, 43 anni fa, il Parlamento approvava la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza. Tuttavia questo compleanno è avvenuto in sordina, nonostante l’attacco frontale portato alla legge in molte Regioni, tra cui le Marche, come ben evidenzia un articolo apparso sul quotidiano La Repubblica il 16 maggio 2021, mentre il dibattito è monopolizzato dal disegno di legge Zan.

Come se la giusta battaglia (da noi condivisa) per nuovi diritti civili scalzi nell’immaginario collettivo, e quindi nella politica, un diritto conquistato con lunghe lotte dalle donne italiane, ancora spesso disapplicato e sempre oggetto di contrasto.

Nelle Marche nei giorni scorsi si è insediata, non senza un iter periglioso, la Commissione per le Pari Opportunità della Regione Marche, che annovera tra le sue componenti una donna dell’Udi (Unione donne italiane) Jesi, Serena Cavalletti. Tale Commissione ha tra i suoi compiti e finalità il garantire il rispetto dei diritti delle donne e promuovere iniziative che creino una cultura dei diritti e delle pari opportunità: una esigenza di primo piano nella nostra regione, vista l’attuale situazione di applicazione della legge 194 nelle Marche, nonché alcune esternazioni da parte di assessori e consiglieri regionali, che sembrano riportare il confronto agli anni immediatamente precedenti il varo della legge, quando vi era un aperto conflitto. Fu allora una indubbia manifestazione di saggezza politica accogliere le istanze del movimento delle donne che ponevano in primo piano, oltre alla legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza, il rispetto della volontà della donna.

La legge 194/78 in questi 43 anni ha dato risultati positivi visto che gli aborti sono drasticamente diminuiti (più di 200.000 nel 1978, scesi a 121.301 nel 2008 e a 73.328 nel 2018), ma nonostante questo negli anni ha subito una progressiva erosione, che si è concretizzata attraverso il depauperamento progressivo del ruolo dei consultori e l’aumento dell’obiezione di coscienza (64,1% nel 1998 e 69% nel 2018). In alcuni casi addirittura si è verificata l’obiezione di una intera struttura, in aperto contrasto con quello che dice la legge. Un corollario di questa sostanziale non applicazione della 194/78 è la pressoché quasi inesistente formazione universitaria e specialistica degli operatori sanitari alle pratiche di ivg e la mancanza di una corretta educazione alla sessualità e all’affettività, accompagnata inoltre dall’inesistenza in gran parte delle Regioni di politiche per una contraccezione gratuita rivolta ai giovani e ad alcune fasce sociali.

A questo si aggiunge un ulteriore contrasto all’applicazione della legge, impedendo di fatto alle donne l’accesso alla Ru486, un percorso farmacologico all’interruzione di gravidanza, opponendo cavilli giuridici e pretestuose motivazioni sanitarie.

La legge 194/78 era stata equilibrata e lungimirante anche da questo punto di vista perchè all’art. 5 prevedeva per il futuro la possibilità e l’opportunità di utilizzare nuove modalità meno invasive e lesive della salute della donna.

Oggi la RU486, la via farmacologica all’interruzione di gravidanza viene fortemente contrastata, disattendendo di fatto la legge, motivando ciò con una fantomatica sicurezza per la salute della donna. La sperimentazione della pillola Ru486 ha avuto inizio ben nel 2005 e dal 2009 è entrata ufficialmente nei protocolli per l’interruzione volontaria di gravidanza. Mentre nel resto del mondo sono vent’anni che viene praticata, nelle Marche dopo una partenza sperimentale molto lenta, l’interruzione farmacologica viene praticata solo in due strutture ospedaliere, Senigallia e Urbino e solo per le donne appartenenti a Aree vaste sanitarie.

Ciò vuol dire che una donna che abita ad Ascoli o a Fermo o Macerata, province che appartengono alla stessa regione, non può paradossalmente utilizzare questo metodo farmacologico. Una disparità di trattamento che, a fronte di uno stesso diritto costituzionale e normativo, viene praticato da anni sulle donne in molte regioni, nel silenzio e nell’indifferenza sia della gran parte dei media che delle forze politiche.

Non solo nelle Marche, ma anche in altre regioni si cerca di boicottare in tutti i modi la legge, disapplicando le linee guida date ad agosto del 2020 dal Ministero competente, che prevedono la somministrazione della Ru486 nei consultori o in ambulatori collegati con l’ospedale, senza l’obbligo di permanenza per tre giorni in ospedale, al fine di evitare alla donna, tra le altre cose, un’inutile esposizione al rischio di contagio da Covid 19.

Di contro, dal Piemonte alla Liguria e nelle stesse Marche, si stanno introducendo norme che aprono le porte dei consultori ad associazioni di sostegno alla vita che interferiscono pesantemente con il diritto insindacabile della donna all’autodeterminazione.

Uno spiegamento di forze che nei fatti rende sempre più difficile per le donne affrontare con serenità e nei tempi previsti dalla legge la scelta di interrompere una gravidanza, riportando l’aborto nella clandestinità e nel fai da te e mettendo di conseguenza in grave pericolo la salute di molte donne.

L’Udi sezione di Jesi in questa data storica per l’autodeterminazione delle donne e in presenza di un bilancio che rischia di compromettere un diritto conquistato con tante lotte e sofferenze, chiede alle forze politiche di maggioranza e minoranza di assumersi la responsabilità politica di dare completa attuazione alla legge e alle linee guida ministeriali attraverso una completa riorganizzazione dei servizi consultoriali, arginando e superando l’obiezione di coscienza negli ospedali e nei consultori, implementando l’accesso alla Ru486 in tutte le Aree vaste sanitarie, promuovendo la formazione del personale alle pratiche di ivg e la contraccezione gratuita per i giovani e per certe fasce sociali. La presenza dell’Udi nella Commissione per le pari opportunità regionale costituirà un costante stimolo a che sia tutelato ed attuato il diritto all’autodeterminazione e alla salute delle donne marchigiane.

Francesca Bartolacci
Responsabile Udi Jesi

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