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L’ARTICOLO È tempo di costruire un ponte verso l’avvenire

«Siamo chiamati alla solidarietà per una nuova e più robusta immersione nella vita»

CASTELPLANIO, 27 maggio 2020«Se costruite ponti verso gli altri, vedrete gli altri percorrere questi ponti verso di voi». (Papa Francesco)

Oltre la nostra finitezza. La pandemia ci ha fatto capire che la società, le strutture e le sovrastrutture che abbiamo costruito per difendere la nostra vita e i nostri privilegi sono vulnerabili. In questa nuova fase di ripresa della vita sociale e lavorativa ci sentiamo ancora fragili, perché ci dicono che «il virus circola nei nostri paesi e città, attacca in maniera misteriosa; dobbiamo proteggere la nostra e altrui salute».

Mai come in questi ultimi tempi abbiamo parlato di fragilità della persona umana, della vita comune, della scienza, della tecnica. La fragilità del pianeta, che ci è stato dato in dono, ma che non abbiamo rispettato e curato abbastanza. La fragilità e vulnerabilità dell’essere umano è sempre stato un argomento centrale nelle diverse culture, per lo meno da quando l’uomo ha cominciato a lasciare traccia scritta di sé.

Noi uomini e donne occidentali, attraverso la ragione, abbiamo trovato un modo per andare oltre la nostra finitezza. B. Pascal scrive: «L’uomo è solo una canna, la più fragile della natura; ma una canna che pensa. Non occorre che l’universo intero si armi per annientarlo; un vapore, una goccia d’acqua bastano a ucciderlo. Ma, quand’anche l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe pur sempre più nobile di quel che lo uccide, perché sa di morire, e la superiorità che l’universo ha su di lui; mentre l’universo non ne sa nulla. Tutta la nostra dignità sta, dunque, nel pensiero. In esso dobbiamo cercare la ragione di elevarci, e non nello spazio e nella durata, che non potremmo riempire. Lavoriamo, quindi, a ben pensare: ecco il principio della morale». (Pensieri)

La fragilità costitutiva è una debolezza?

C’è chi l’ha intesa come attitudine dell’uomo a peccare, ma possiamo anche esaltarla e pensare che sia un segno ed espressione della presenza di Dio. San Paolo afferma: «Quando sono debole, è allora che sono forte». La società moderna ha associato la fragilità a una mancata efficienza. Il mito della perfezione, l’uomo che sa bastare a se stesso, hanno permeato la nostra cultura. In questo contesto, la filosofia di G. Leopardi, che mette in primo piano la fragilità della condizione umana, è stata definita “pessimista”. Ciò che infatti il Poeta mostrava quando raccontava la storia del suo pastore errante, che si interroga di fronte all’immensità della luna e del cielo sulla dimensione umana mortale, è la fragilità che contraddistingue l’uomo.

«La fragilità è un’esperienza umana che, quando nasce, non mai si spegne in vita, e che imprime alle cose che vengono fatte, alle parole che vengono dette, il sigillo della delicatezza e dell’accoglienza, della comprensione e dell’ascolto, dell’intuizione dell’indicibile che si nasconde nel dicibile». (Eugenio Borgna)

È possibile ridare gioia?

«Salvare il mondo non significa offrirgli la felicità, ma dare un senso alla sua sofferenza e regalargli una gioia che nessuno gli può sottrarre» afferma Madeleine Delbrel. Seppur fragile, l’uomo ha in sé, in modo prepotente, il desiderio di salvare se stesso e il mondo. Vede vulnerabile la sua salute, il suo pensiero, la sua capacità di amare. La morte, che ci ha accompagnati in questo periodo con il suo silenzio e distacchi veloci (senza la pietas cristiana), ha messo allo scoperto la nostra impotenza.

Fiumi di lacrime hanno percorso corsie di ospedali e solcato i volti di tante famiglie. È tutto finito? No! Ci chiediamo come è possibile ancora viaggiare, lavorare, amare, convivere con un virus che ha seminato paura, dolore e morte. Tocchiamo con mano la nostra incapacità a superare la crisi. Proviamo a salvarci usando dispositivi o barriere antivirus. Guardiamo il vicino con sospetto, perché ci dicono il Covid-19 è vivo e nascosto, circola nei nostri spazi e ci infetta con contatti ravvicinati senza protezioni. I più piccoli vogliono la serenità di un tempo, l’abbraccio e la vicinanza con gli amichetti. Non solo loro, anche i giovani, gli adulti e gli anziani.

Possiamo coltivare la speranza?

, se siamo capaci di costruire un ponte tra il qui e ora e un avvenire che ancora non c’è. Costruire o ricostruire? Non ci sono macerie. Le macerie le abbiamo dentro. Immaginiamo un futuro possibile! A piccoli passi, anche se incerti, riorganizziamo l’esistenza, nonostante le tensioni economiche, politiche e sociali che potrebbero farci dimenticare quel lungo tempo di lockdown carico di riflessione e di speranza. Le tensioni, se vissute male, potrebbero farci ritrovare più poveri di prima e ancora più vulnerabili.

La vita sociale e umana è sempre esposta a delle tensioni. Ad esempio la tensione fra libertà e sicurezza, fra singolo e collettività, fra povertà e ricchezza. Non è che esistano delle risposte risolutive. Le diverse fasi, i diversi momenti della storia sociale sono fatti di equilibri tra le tensioni. E questi equilibri sono per definizione inadeguati, insufficienti (R. Guardini).

La tensione più faticosa è quella tra libertà e sicurezza. La libertà va allenata, è un esercizio costante di responsabilità, di condivisione e di sapiente attesa… Tutti abbiamo fatto l’esperienza della vulnerabilità della vita. Malattie e incidenti toccano tutti. Ma eravamo abituati a declinare la nostra vulnerabilità nel privato, come se riguardasse gli altri e non noi o, viceversa, noi e non gli altri. Invece, oggi, stiamo imparando che esiste una dimensione comune della vulnerabilità e della fragilità.

Sul piano collettivo questa esperienza è piombata come un fulmine e questo fulmine ha stravolto la nostra società (Mauro Magatti). Un più di vita! Non dimentichiamo, neppure per un attimo, che ora siamo chiamati alla solidarietà per una nuova e più robusta immersione nella vita.

«L’individualismo è il virus compagno del coronavirus; è la grande eresia della modernità». (V. Paglia) È tempo di un nuovo “affidamento” di tutti per rendere la vita un’avventura e non semplicemente un ripetere degli schemi già consolidati.

È tempo di rinascere!

Mettere in moto fiducia e coraggio per un oltre, un più e un nuovo che è già in atto. Amare, lavorare, educare, ricostruire con la paura addosso significa arrestare il processo vitale della propria esistenza e della società. Se abbiamo potuto imparare qualcosa in tutto questo tempo è che nessuno si salva da solo. Le frontiere cadono, i muri crollano e tutti i discorsi integralisti si dissolvono dinanzi a una presenza quasi impercettibile che manifesta la fragilità di cui siamo fatti.

È il soffio dello Spirito che apre orizzonti, risveglia la creatività e ci rinnova in fraternità per dire “presente” (oppure “eccomi”) dinanzi all’enorme e improrogabile compito che ci aspetta

Ora è il tempo propizio per trovare il coraggio di una nuova immaginazione del possibile, con il realismo che solo il Vangelo può offrirci!

Anna Maria Vissani

Sì, ripetiamolo spesso in famiglia, nell’educazione dei piccoli e dei giovani, anche nel lavoro: ora è tempo propizio! Costruire un ponte tra il qui e ora e un avvenire che ancora non c’è.

Un ponte che può appoggiarsi solo sulle spalle di chi vive di speranza!

Anna Maria Vissani, Grafologa e Counselor

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