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L’ARTICOLO La pandemia ha accelerato la rivoluzione digitale

Nel frattempo, gli stabilimenti si svuotano e al loro posto subentrano centri commerciali stracarichi di merce prodotta da lavoratori docili e a basso costo, in ossequio all’avidità e al cinismo delle multinazionali

Quando è arrivata, la pandemia da Covid 19 si è sovrapposta e ha interagito con una rivoluzione fortemente pervasiva già in atto: la rivoluzione digitale, che potremmo definire come il prodotto dell’interazione tra telecomunicazione, computer e robotica. Durante le fasi acute della pandemia, che hanno forzato le autorità a imporre delle chiusure totali, è stato grazie all’infrastruttura già messa in campo dalla rivoluzione telematica che, sebbene con alcune limitazioni, le società hanno continuato a funzionare.

Così è stato per l’istruzione, per i servizi sanitari, la ristorazione e soprattutto il lavoro d’ufficio, dando una sostanziale accelerazione allo smartworking. In Italia viene chiamato lavoro da remoto e permette in pratica di operare dalle mura domestiche senza sobbarcarsi lo stress del traffico o il confronto con colleghi e superiori, a volte antipatici.

Certamente ci si espone maggiormente a un controllo occulto da parte del datore di lavoro, tuttavia meno pressante se questo è pubblico. Poiché contribuisce a decongestionare le metropoli dal traffico e sperabilmente a rilanciare il settore immobiliare in provincia, tale dinamica continuerà a svilupparsi anche nel post Covid. Ci sono tuttavia settori come la ristorazione e l’abbigliamento che ne verranno svantaggiati, aggravando una condizione già logorata dalla pandemia.

C’è un aspetto di questa rivoluzione digitale che viene curiosamente ignorato dalle autorità nazionali ed europee e cioè che la gestione dell’infrastruttura telematica su cui viaggiano dati sensibili di cittadini, istituzioni e aziende è nelle mani di poche corporation americane (Microsoft, Alphabet, Apple…) le quali possono realizzare guadagni stellari a questo oligopolio. Proprio la gestione dei dati e la relativa profilazione finalizzata al marketing rappresenta infatti l’affare del secolo.

Non solo, grazie a Edward Snowden e alla collaborazione del TheGuardian, oggi sappiamo che istituzioni governative Usa (Nsa: National security agency) possono appropriarsi di questi dati e condividerli con gli stretti alleati anglosassoni (Gran Bretagna, Australia, Canada, Nuova Zelanda) realizzando una forma di vassallaggio e di ricatto potenziale inaccettabile!

Inoltre, occorre considerare che più una società si digitalizza, cioè trasferisce servizi essenziali su infrastrutture telematiche, più diventa soggetta alle vulnerabilità tipiche del digitale.

Per esempio un protratto black out elettrico, o anche un attacco hacker ben organizzato in grado di colpire i server nei i gangli vitali della rete, esporrebbe i servizi a malfunzionamenti, blocchi o perfino a pesanti ricatti. Ne siano un esempio le strutture sanitarie britanniche bloccate nel maggio del 2017 dal ransomware, che appunto chiese un riscatto per restituire i dati bloccati.

Più che un cigno nero, cioè il verificarsi di un evento prima completamente sconosciuto e non ipotizzabile, come teorizzato del matematico libanese Nassin Taleb nell’omonimo libro, sarebbe un enorme tacchino.

Comunque, la rivoluzione digitale avanza plasmando il sistema produttivo globale che, come assoni neurali, si struttura in catene di montaggio transnazionali per cui ogni singolo segmento di un prodotto (es. televisore, automobile, ecc.. ) viene realizzato dove più conviene. E così abbiamo dovuto familiarizzarci con termini come delocalizzazione, outsourcing che in pratica significano potere di ricatto verso Stati e lavoratori da parte delle multinazionali.

Ne consegue, come è successo a 420 lavoratori della Gkn in Toscana, che dall’oggi al domani ti potrebbe arrivare una mail di licenziamento e chiusura del sito produttivo senza alcun preavviso.

Gli stabilimenti si svuotano e al loro posto subentrano centri commerciali stracarichi di merce anche griffata, prodotta da lavoratori docili e a basso costo, in ossequio all’avidità e al cinismo delle multinazionali

Tuttavia nel nostro piccolo, quando assumiamo il ruolo di consumatori, qualche freccia nell’arco l’avremmo. Credo sia saggio preferire prodotti “Made in Italy” e soprattutto penalizzare quei marchi di aziende che si sono accanite sui lavoratori italiani. Come l’America del XIX secolo, stiamo approcciando una nuova era di Robber Barons, letteralmente Baroni Ladri, che monopolizzano il mercato, sfruttano i lavoratori e non pagano le tasse.

Del resto i burattinai del mondo che periodicamente si riuniscono a porte chiuse nella cittadina olandese di Bilderberg, non hanno a cuore i destini delle masse di lavoratori, piuttosto si preoccupano del mantenimento della ricchezza smodata delle élite. Nessuno possiede la sfera di cristallo, ma ho la netta sensazione che la pandemia in atto possa fungere da catalizzatore per innescare importanti cambiamenti.

K. Marx e F. Engels ci hanno evidenziato che, in fondo, le dinamiche che muovono l’umanità attraverso la storia sono sempre le stesse e che è la modalità con cui realizza quei bisogni primari, costituisce l’infrastruttura della società. E ancora, Giambattista Vico (1668-1744) ci suggerisce un’interpretazione della storia come una serie ripetibile di corsi e ricorsi, perché le generazioni si succedono e gli errori del passato facilmente si dimenticano.

Tornando al nostro tempo, la nuova amministrazione americana, irrompendo come un elefante in un negozio di cristallerie, ha inaugurato una fase di guerra fredda (Cina e Russia) e di autarchia le quali, sommandosi a un ipertrofico stimolo monetario, stanno alimentando una fiammata inflazionistica. Come ai tempi di John Law

Bruno Bonci

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