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L’ARTICOLO Per ricostruire occorre riabilitare il “terzo occhio”

È lo sguardo con cui si riesce a vedere nella notte: l’uomo odierno sembra averlo perso

CASTELPLANIO, 26 aprile 2020 – Le numerose ricerche sociologiche effettuate per cogliere le tendenze dei cambiamenti in atto della nostra società, ci danno pochi lineamenti da segnalare, poiché siamo in presenza di un nuovo che, non rientrando nelle vecchie categorie, si presta male a essere interpretato con i tradizionali strumenti di indagine, che pertanto si rivelano obsoleti.

La prova della pandemia di Covid-19 ha costretto il mondo a porsi grandi interrogativi sulla fragilità di un sistema guidato dal delirio dell’onnipotenza, che diventa pulsione di morte, un sistema di vita basato sull’efficienza dei mercati.

«Un eccesso che si esprime nella vita individuale come pulsione di morte e nella vita collettiva come ossessione per la crescita e l’innovazione». (Magatti M.)

Ci stiamo accorgendo che se il sistema si apre, perché intervengono fattori nuovi e inaspettati, non si può più sapere verso quale equilibrio esso si dirigerà. Innanzitutto bisogna riconoscere la novità e la radici dei fattori che determinano un certo sconvolgimento del sistema, e poi si potrà anche comprendere la loro influenza sul medesimo. Siamo costretti ad apprendere il movimento inverso all’eccesso che è l’Eccedenza, come apertura liberante alla vita, cioè all’Altro da sé. Un movimento che lo stesso Vangelo, come Buona Notizia, ci indica e chiede di attuare.

L’anima della nostra società

La società odierna si trova in condizioni simili a quelle di un sistema che si scopre fragile, dopo una corsa sfrenata e prolungata, dopo molte forme di eccesso e di scelte di sfruttamento del creato, scelte di potere e di morte a scapito della vita dell’uomo. Che cosa è avvenuto in questi ultimi decenni? Da un mondo prettamente patriarcale si è andati verso uno matriarcale e consumistico; la cultura scientifica sta diventando la cultura per eccellenza, estendendosi al settore umanistico e psicologico e indirizzando anche le scelte etiche; il progresso materiale e tecnologico è diventato il nuovo dio, all’insegna di una parola d’ordine nuova: competitività; la natura, non più ascoltata, viene considerata essenzialmente, se non esclusivamente, come una risorsa materiale a disposizione dell’uomo; si avverte un disequilibrio e la prevaricazione tra i sessi per mancanza di complementarità, con conseguente sfaldamento del tessuto familiare e sociale.

Alcuni di questi punti potrebbero sembrare in contraddizione tra di loro, ma non è così; ad esempio, il matriarcato e la competitività coesistono benissimo, poiché la società matriarcale non è più tenera di quella patriarcale. Essa non si prende cura dell’essere umano, del singolo individuo, come la natura insegna. Negli ultimi anni sono state attuate molte trasformazioni sociali. Si è realizzata la convergenza di più processi, diversi tra loro, ma concomitanti: la crisi dei valori ideali o ideologici, la modernizzazione materiale e tecnologica della vita di tutti i giorni, l’avanzamento della cosiddetta cultura scientifica in seguito alle conquiste della scienza, l’emancipazione femminile, il raggiungimento di un benessere sconosciuto alle generazioni precedenti.

Un certo malessere ha reso sempre più difficili le relazioni tra le persone e i popoli. Che cosa è realmente accaduto?

Due cause forse sono determinanti, sebbene complesse: la chiusura progressiva allo spirito e la chiusura all’essere umano: emarginati entrambi da una società sempre più competitiva e consumistica. Il malessere diffuso e le sconfitte indicano che non si è trattato di vere emancipazioni, ma di rivolta e scardinamento silenziosi di tutta una serie di valori nei quali l’uomo ha creduto per secoli se non per millenni: la vita, la libertà di credere, la fraternità, l’uguaglianza… L’essere umano si è sentito privato delle esigenze di vita spontanea e libera attraverso l’autoimposizione di istanze superegoiche disumane.

Nella notte che stiamo vivendo, un tempo di profonda crisi, siamo incapaci di prendere una direzione e il cammino si fa insidioso. La notte è sempre un momento inquietante, nel quale ci è nascosto l’essenziale, magari quello che più ci serve per vivere.

Nella tradizione cristiana essa è il simbolo per esprimere lo smarrimento dello spirito, l’impossibilità di cogliere ciò che deve orientare i nostri passi. La notte è tuttavia un’immagine ambivalente, perché, in qualche modo, evoca anche un tema centrale e “positivo”, nell’economia della Bibbia, quello del nascondimento.

Il nascondimento di Dio

Per esprimere in forma suggestiva il senso del nascondimento, mi riferisco a un brano molto noto, ma con un passaggio rivelativo sempre disatteso: il racconto della creazione di Eva, così come ce lo consegna il capitolo 2 del libro della Genesi. Dio crea l’uomo e dice: «Non è bene che l’uomo sia solo, voglio fargli un aiuto che gli sia simile». Comincia allora a plasmare dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche, ma pur con tutto questo “ben di Dio”, l’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile. Allora, dice la Scrittura: «Il Signore fece scendere un torpore sull’uomo che si addormentò. Gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola che aveva tolto dall’uomo la donna e la condusse all’uomo. E allora l’uomo disse: “Questa volta è carne della mia carne e osso delle mie ossa”».

Dio fa scendere un torpore sopra Adamo. Adamo non vede la nascita di Eva dalla sua costola. Adamo non vede Dio all’opera. Mentre Dio agisce, Adamo dorme. E cosa significa, questa parola? Le realtà più importanti della vita, e in questo caso la realtà più importante per Adamo è Eva (tanto è vero che subito dopo Adamo erompe in un canto di gioia), accadono nel nascondimento. Noi non vediamo Dio all’opera quando suscita sul nostro cammino gli eventi più importanti.

Che questa caratteristica di Dio e della sua relazione con l’uomo, cioè il nascondimento, sia essenziale nella Scrittura, lo vediamo anche in un’altra immagine, anch’essa particolarmente efficace, questa volta tratta dal Nuovo Testamento, dal vangelo di Marco, al capitolo 4,26 ss., ove si parla del Regno di Dio: «Il Regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra. Dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce, come egli stesso non lo sa, poiché la terra produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga e poi il chicco pieno nella spiga e quando il frutto è pronto subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura».

Gesù utilizza, per spiegare ai suoi la realtà misteriosa del Regno di Dio, un’immagine bella ed efficace, quella di un uomo che getta il seme nella terra. Il seme penetra nel buio della terra, dove accadono cose che il contadino non sa come effettivamente avvengano. Accade il dispiegarsi del dinamismo vitale del seme a prescindere dal contadino (che dorma o che vegli il seme germoglia e cresce).

C’è un altro momento notturno: la Pasqua di Gesù. Questo passaggio decisivo che la storia dell’uomo conosce, avviene in una notte, la notte dell’abbandono, la notte del silenzio, la notte del nascondimento di Dio.
La notte, tuttavia, è il luogo privilegiato in cui Dio agisce; nella complessità dalla quale non riusciamo a venire a capo, proprio in quelle oscurità il Signore si fa trovare sorprendentemente vicino. E l’uomo è in grado di accoglierlo, perché obbligato a riconoscere che Chi tesse la vita nelle viscere della storia è soltanto Dio. A nessuno viene risparmiato il passaggio nella notte. È un passaggio necessario per ogni società che è capace di liberare la libertà degli uomini e delle donne, in forme tragiche talvolta, ma sempre nella tipologia del grande passaggio notturno che sarà la nostra morte.

L’occhio della saggezza

Occorre avere occhi grandi, occhi capaci di bucare la notte. Nella civiltà dell’immagine è come se fossimo diventati incapaci di leggere nell’attuale notte i segni della vita. Nella nostra cultura ha valore ciò che appare. Ciò che si vede in televisione, tanto che taluni, scorgendo se stessi sullo schermo hanno come la sensazione di essere di più.

La civiltà dell’immagine, del vedere tutto avvolto da luci ad intermittenza, da fari potenti, capaci di scovare ogni angolo della vita, illuminando a giorno anche la notte, contagia il vissuto quotidiano dei nostri figli, che si abbeverano allo scorrere veloce delle immagini della tv, dei social network, videogiochi, cartelloni pubblicitari, e crescono con la spinta ad acquistare sempre nuovi prodotti tecnologici.

Tutti, giovani e adulti, siamo vittime dell’immagine invasiva che plasma il nostro occhio; a poco a poco, insensibilmente, diventiamo incapaci di vedere nel buio, di cogliere il chiaroscuro della vita, di leggere i segni che sono diffusi sul nostro percorso, nei gesti e nelle parole di coloro che ci stanno accanto.

Possiamo diventare incapaci anche di gioire del sole che sorge ogni giorno! Questa finezza dell’occhio può diventare profezia di chi sa intravedere nel chiaroscuro della vita l’agire di Dio. La tradizione antica indicava questa potenzialità come terzo occhio, con cui noi nasciamo. L’uomo di oggi sembra averlo perso. Gli eventi bui e dolorosi che stiamo attraversando possono essere un invito a riesercitarci a vedere oltre le apparenze, a vedere barlumi di luce nella notte, a scovare anche nella morte la vita, ad attendere con fiducia il sorgere del sole.

È un’arte che richiede sensibilità, finezza d’animo, capacità di attesa e fiducia. L’essere costretti a casa non è forse occasione per affinare nel silenzio e nelle relazioni più prossime il terzo occhio: l’occhio della saggezza? Sarà questo occhio, che tutti abbiamo avuto in dono, a farci intravedere quale società dobbiamo ricostruire!

Suor Anna Maria Vissani

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