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Cronaca

JESI “Legalità Organizzata”, Roberto Catani: «Non siamo più un’isola felice»

L’avvocato jesino premiato per la diffusione della cultura della legalità nelle scuole, per la difesa di chi è taglieggiato dalla criminalità e dei testimoni di giustizia

JESI, 31 luglio 2020 – La terza edizione del premio “19 Luglio 1992 TerraViva, dalla parte della Legalità, istituito in memoria della strage di Palermo in via d’Amelio, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta, ha visto tra i premiati il marchigiano Roberto Catani, di Jesi, avvocato e presidente dell’Associazione Legalità Organizzata.

Tra le motivazioni che hanno portato all’importante riconoscimento, vi sono l’impegno nella diffusione della cultura della legalità nelle scuole e l’attività professionale di difesa dei testimoni di giustizia e di coloro che sono taglieggiati dalla criminalità.

Cosa significa tenere lontani i giovani dalle tentazioni che la criminalità organizzata presenta quotidianamente sul suo piatto fatto di ricatti, di ritorsioni, di denaro facile, di assassinii?

«Le dico subito che la mia non è una “missione”, bensì una passione nata nel lontano 1992, quando assistetti alle tragedie criminali che minavano il nostro Paese. Da allora, negli anni, ho capito che questo problema non si sconfigge dall’oggi a domani. È un problema culturale, che va affrontato sin da giovanissimi».

Cosa dite, nelle scuole, quando incontrate i giovani, voi dell’Associazione Legalità Organizzata?

«Dobbiamo far capire ai giovani di diciassette, diciotto anni, quanto sia importante rispettare i valori costituzionali e il prossimo. La criminalità si manifesta spesso laddove lo Stato non riesce a essere presente e questo affascina i giovani che pensano a soldi facili, ad una vita agiata ma col disprezzo di ogni tipo di valore e rispetto verso la Costituzione e le istituzioni. Non è facile affrontare questo tipo di realtà, soprattutto in regioni come la Calabria, dove la ‘ndrangheta è presente, forte e penetrante nel territorio».

Sembra che anche nelle Marche qualche tentacolo della criminalità organizzata si stia introducendo da tempo: voi ve ne rendete conto?

«Le Marche sono una regione assolutamente pervasa dalla criminalità, non è più il “piccolo mondo antico” e felice. Assolutamente. Ormai in alcune attività costiere, ricettive, ristoranti, notiamo spesso che diventano il volano più facile per il riciclo di denaro. Attività che interessano ​moltissimo alla criminalità organizzata. Fino a qualche tempo fa, la nostra era una regione che non conosceva crisi ma, purtroppo, è iniziato un lento declino e, al di là o aggiungendo pure il Covid-19, dal punto di vista economico si vedono i risultati. È necessario stare molto vicini agli imprenditori, non solo con le associazioni di categoria ma anche con associazioni come la nostra, perché la criminalità organizzata approfitta della crisi dell’industriale, lo rende schiavo promettendogli denaro facile, anche perché spesso gli istituti di credito non hanno la forza o la volontà di sostenere quanti di essi si trovano in cattive acque. Disperati, sono disposti a tutto. Si sottopongono all’usura, ai criminali. Non rendendosi conto che, gradatamente, la loro attività passerà in mano ad altri, e loro la perderanno irrimediabilmente».

Lei dice che questo riconoscimento è il coronamento di anni di attività dietro la quinte a sostegno dell’antimafia e della legalità, nella speranza di costruire un futuro migliori per i nostri ragazzi e un Paese in cui vi siano più Lavoro, più Legalità e più Libertà, affrancandosi dal bisogno e dalla criminalità. Non le sembra di essere un “sognatore”, con tutto il rispetto?

«Vorrei che ci fossero tanti sognatori come me, perché le piccole cose fanno grandi cose. Se ognuno di noi, nel proprio quotidiano, si impegnasse a non scendere a compromessi, a non fare patti scellerati, probabilmente il nostro Stato andrebbe molto meglio. Le faccio un esempio concreto e anche quotidiano: quando a Napoli mi hanno conferito questo riconoscimento, ho visto gente in giro senza mascherina, in moto senza casco, non rispettare i segnali di stop. Vero, sembrano banalità, ma se noi non riusciamo a educare i nostri ragazzi alle regole minime di vita civile, non potremo arginare il trauma della criminalità che è ammaliante, visto che promette denaro facile senza sacrifici. Ci sono dei doveri, e non solo diritti, nella vita di ciascuno».

In quante regioni siete presenti?

«Coi nostri presìdi, ed a fondo, nelle Marche, nel Piemonte e nella Calabria. Tre realtà con storie e culture diverse. Contiamo oltre duecento aderenti e ​siamo sempre in movimento, in tre anni abbiamo incontrato oltre 25.000 studenti in tutta Italia, appartenenti alle scuole superiori, e questo ha generato un volano d’interesse intorno alla nostra associazione sulle tematiche della Legalità. Oggi occorre insegnare ai nostri figli l’educazione civica, l’evoluzione storica della quotidianità, se vuole. Infine è nostro dovere essere vicini ai testimoni di giustizia (coloro che, taglieggiati, sono riusciti a denunciare i soprusi mafiosi), non sempre seguiti sino in fondo dallo Stato. Coi ragazzi abbiamo visto una grande sintonia. Ci credono, come noi. Vogliono vivere una vita normale, con lo Stato che sia comunque presente ogni momento».

Giovanni Filosa

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