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LETTERE&OPINIONI PENSIERI DI UN MEDICO OSPEDALIERO CHE VA IN PENSIONE

JESI, 13 luglio 2018 – È arrivato il giorno, così come Di Pietro si tolse la toga di giudice (volontariamente), io devo posare il camice bianco  ma non volontariamente ma perché l’età e gli anni di servizio non mi consentono più di proseguire ad espletare la mia professione ospedaliera che ho fatto per quaranta anni effettivi! Ma quel camice è come una seconda pelle rimarrà sempre attaccato! In questo momento non so se ringraziare di essere arrivato tutto sommato alla fine senza infamia e senza lode. Ho sempre saputo che prima o poi questo giorno sarebbe arrivato, ma ho sempre allontanato la mia mente da questo evento! Ma adesso è arrivato e allora? Allora sono stato fortunato perché ho fatto una professione che ho sognato da bambino e che ho intrapreso con Amore.

Franco Iantosca

Ricordo le lacrime di mio padre e di mia madre il giorno della mia laurea che tenerezza! Il primo giorno di lavoro in ospedale a Jesi primario professore Renato Scoccianti, il dottore Biagio Dello Russo grande saggezza di medicina pratica ed infine il dottore Maurizio Monaco dal quale ho appreso moltissimo.

Le tantissime ore sacrificate alla famiglia e passate in ospedale tra corsia e sala operatoria senza guardare l’orologio e facendo anche  60-65 ore settimanali, ma non pesavano perché l’entusiasmo e l’essere medico ospedaliero era un prestigio! Con il passare degli anni le cose sono cambiate mi chiedete il perché? Perché sono arrivati i mercenari della sanità, intrallazzatori per i quali tutto è il contrario di tutto! Il paziente non è nessuno è soltanto un numero  sul quale  speculare, l’ospedale è stato trasformato in azienda e come tale deve dare un utile materiale (in soldi!) e non in salute e in morale! A questo modo di gestire la sanità si sono adeguati molti colleghi non tenendo presente il sacro giuramento di Ippocrate!

Una volta il primario o il collega anziano erano una guida, una scuola da seguire per come affrontare la professione sia sotto l’aspetto culturale che morale! Oggi non è più così, abbiamo creato aziende della salute perdendo l’obiettivo principale della nostra professione.

I media ci massacrano inculcando diffidenza nella gente, i politici e gli amministratori dell’azienda sanità ci lasciano soli senza alzare un dito a difesa di chi tutti i giorni sta in trincea. Non hai diritto a difenderti e protestare e se lo fai vieni tacciato per un rompi e deferito agli organi disciplinari! La Linea politica sanitaria di oggi è di portare dal pubblico al privato, per me il più grande sbaglio perché con tutte le sue pecche garantisce a tutti ( anzi garantiva a tutti, oggi non so!) il diritto alla salute. Attualmente non ti è concesso nulla, non puoi sbagliare, si cammina con il libro di medicina legale sotto il braccio, i colleghi cercano di scaricare le loro responsabilità su altri colleghi a discapito della qualità e del risparmio.

Si è perso il rapporto medico-paziente proprio per la politica sbagliata, tutto questo si ripercuote sulla pelle degli operatori sanitari i quali hanno perso fiducia e credibilità, non hanno più stimoli. In questi giorni mi sono sempre sentito dire “beato te che vai via…ti invidio…potessi andare via anch’io”. Io da una parte invidio loro che rimangono, ma dall’altra sono contento  a non dover più lottare contro mulini a vento e muri di gomma! I miei attrezzi di lavoro che ho amato moltissimo sono stati: il bisturi, il gastroscopio, il colonscopio ma soprattutto la camera operatoria! È stata il mio palcoscenico, l’oppio della vita, la droga dove l’istrione (il chirurgo!) si esibisce. È scarica di adrenalina che ti fa superare ogni ostacolo e paura. Sì, ho avuto paura ma ho sempre superato quei momenti di angoscia decisionale altrimenti non avrei potuto esercitare questa grande professione.

Sono arrivato al traguardo della mia vita professionale alla quale ho dato molto e molto mi ha dato senza rimpianti. Ma un rimpianto c’è nel vedere questa sanità alla deriva affogata dalla burocrazia, dall’arrivismo degli attori sanitari. Dobbiamo riprendere il nostro posto che ci hanno scippato. Noi operatori sanitari dobbiamo ritrovare con umiltà l’armonia e la dolcezza di questa professione mettendo al centro il paziente e togliendo il sipario che si è creato. Sicuramente si potrà arrivare a rimarginare questa grande ferita se ricominciassimo a lavorare con umiltà e i politici e gli amministratori si mettessero una mano sulla coscienza ( se ne hanno una!). Anche loro un domani saranno utenti di questa sanità!

Se non si semina bene è difficile avere un buon raccolto. Ritengo la mia professione, (il chirurgo!), la più bella se fatta in un certo modo. Il mio augurio è a voi, che restate ancora qui, la possiate fare con serenità e dolcezza alleviando le sofferenze del malato.

Vi ringrazio infine di avermi sopportato per tanti anni e chiedo scusa a tutti se qualche volta sono stato duro e petulante, ma credo mai cinico e menefreghista.

Con grande commozione saluto tutti i colleghi anche quelli ai quali sono risultato antipatico con la speranza di vivere gli ultimi anni con i ricordi più belli di voi e della mia vita professionale ospedaliera.

Franco Iantosca

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