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Cronaca

L’INTERVISTA Serena Cavalletti: «Abbiamo bisogno di una “politica donna”»

In occasione della “Giornata mondiale contro la violenza sulle donne” intervista alla componente della Commissione pari opportunità della Regione Marche

Ogni anno, in prossimità del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, sono numerose le iniziative per dare voce a quello che è un grande problema reale.

Ma come si può combattere concretamente la violenza contro le donne?

Abbiamo intervistato Serena Cavalletti, di Cingoli, insegnante, violinista di fama, due lauree d’Alta formazione artistica e musicale presso il Conservatorio di Pesaro e un master di II livello come dirigente scolastica, attiva da vent’anni nel settore dei beni e delle attività culturali sia in Italia che all’estero, componente della Commissione pari opportunità della Regione che, istituita nel 1986 nelle Marche, ha il compito di rimuovere le discriminazioni nei confronti delle donne e di promuovere pari opportunità tra i sessi.

«Innanzitutto grazie a lei e a tutta la redazione per avermi invitato a rispondere, come componente della Commissione Pari Opportunità della Regione Marche, sulla vostra testata: abbiamo assoluto bisogno di parlare di violenza di genere e di parlarne con cognizione di causa».

«Ha detto bene, è violenza “contro” le donne, non “sulle” donne, perché si tratta di un fenomeno strutturale e culturale non ancora riconosciuto nella sua portata. Se pensiamo che in Italia siamo a un femminicidio ogni 72 ore e a una media di 11 denunce di stupro al giorno, capiamo immediatamente che non c’è discriminazione che mieta vittime tanto quanto la cultura patriarcale, perché di questo si tratta: del concetto di proprietà dei corpi e delle vite che, storicamente, era legalizzato da parte degli uomini, non sono drammi della gelosia o raptus, così come lo stupro non è attrazione fisica, ma pura prevaricazione».

«Il 25 novembre serve per fare il punto, ma ogni ricorrenza se non corrisponde a militanza è retorica e la militanza non deve essere solo nella base sociale o nelle aule universitarie, deve trovare un riscontro economico e pratico nelle istituzioni».

La permanenza forzosa in casa ha fatto lievitare le chiamate al 1522 del 18% in più rispetto all’anno precedente: nonostante le difficoltà a stabilire contatti, i casi di violenza nelle Marche sono stati 483. Uno scenario drammatico, che corrisponde solo alla situazione emersa, ovvero un dato parziale rispetto al sommerso, non denunciato, ma reale.

La maggior parte delle donne che denunciano è di età inferiore ai 30 anni e di nazionalità italiana: questo non vuol dire che in altre fasce d’età o di provenienza le vittime siano di meno, ma che hanno meno propensione a denunciare.

Le remore e le paure sono tante, le più espresse sono di non essere credute, di venire incolpate della propria condizione e di perdere i figli, il che offre una foto molto eloquente della società che queste ragazze, queste donne si sentono attorno: non una comunità disposta ad aiutare e accogliere, ma un apparato giudicante e punitivo, questo dovrebbe far riflettere.

Qual è l’emergenza più grande nelle Marche per quanto riguarda la condizione femminile?

«Dal mio punto di vista il lavoro. La prima dipendenza, la prima forma di violenza è quella economica. Più del 75% dei posti di lavoro persi a causa della pandemia sono di donne e questo perché nelle famiglie a causa dell’aumento del carico di cura di bambini e anziani, è stato scelto di sacrificare il contratto meno sicuro e meno retribuito. Questo vuol dire non solo che alle donne toccano ancora i partime involontari e i contratti peggiori, ma anche che il wellfare non è sufficiente».

Cosa si dovrebbe fare per migliorarla e cosa viene effettivamente fatto attualmente nelle Marche?

«A mio parere troppo viene demandato alle scelte individuali. Abbiamo bisogno di servizi che rendano più semplice la gestione dei tempi di lavoro e di vita, avremmo bisogno di lavorare meno, ma lavorare tutti e tutte, di avere città progettate per questo, i famosi quartieri di 15 minuti della sindaca di Parigi che guarda caso è donna. Abbiamo bisogno anche di incrementare la rete dei CavCentri anti violenza – e fornire ancora più servizi informativi, di supporto e soprattutto la capillarità degli sportelli sul territorio. Insomma, abbiamo bisogno di una politica donna e a misura di donna, renderebbe la società più vivibile per tutti gli esseri umani: combattere la mascolinità tossica restituirebbe il buon vivere anche agli uomini».

Nicoletta Paciarotti

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