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MOIE Grusol, la lettera al presidente Francesco Acquaroli

Tante le problematiche riemerse con l’emergenza Covid riguardo ai servizi sociosanitari e sociali

MOIE, 15 gennaio 2021 – Il Gruppo Solidarietà ha analizzato alcuni recenti provvedimenti della Regione Marche e alcune convenzioni dell’Azienda sanitaria unica regionale. Il Fondo regionale solidarietà registra ogni anno un avanzo e ciononostante non raggiunge circa il 70% dei potenziali beneficiari. Il motivo: al contributo si può accedere solo se il Comune presenta la domanda anche se l’utente ne ha diritto. E se il Comune non ne trae vantaggio difficilmente avvia la domanda.

Si convenzionano nuovi posti di Rsa anziani ma non si regolamentano a livello regionale aspetti essenziali del servizio. Abbiamo analizzato le convenzioni dell’Area Vasta di Fermo, Ancona, Pesaro, che presentano disposizioni divergenti. Come mai non tutti i Centri diurni (disabili, anziani, salute mentale) ricevono lo stesso sostegno a fronte delle maggiori spese derivanti dall’emergenza Covid? Per le persone con demenza accolte nelle residenze protette si prevede un’organizzazione dedicata, ma poi le modalità di convenzionamento, di fatto, lo impedisce. Perché si prevedono screening quindicinali nei servizi diurni e residenziali e nulla è previsto in quelli domiciliari? Su queste e altre questioni, la lettera al presidente della Giunta regionale Francesco Acquaroli.

«Prendiamo spunto da alcuni recenti provvedimenti per segnalare l’urgenza di intervenire su alcuni ambiti dei servizi e della loro regolamentazione regionale. La nota ha necessità di sintesi, che, ci auguriamo, non ostacolino la comprensione delle problematiche presentate. Come si potrà verificare, il mantenimento della vigente situazione ha pesanti affetti sul sistema degli interventi, con inaccettabili difformità che, conseguentemente, vanno a ricadere sui fruitori degli stessi.

1) Fondo solidarietà. I recenti Decreti confermano ancora una volta l’inadeguatezza della struttura regolamentare del Fondo. Finalmente una parziale ammissione viene fatta nel Defr 2021-23. A tal proposito, si afferma che “sarà necessario procedere al una semplificazione dei meccanismi procedurali, anche al fine di garantire il trasferimento delle risorse precocemente, rispetto all’attuale impostazione”. Da quando è stato istituito ad oggi, non si sono mai riuscite a spendere le risorse messe a Bilancio, a causa dei meccanismi del provvedimento (nel 2019, su 3 milioni di spesa, ne sono avanzati 2.7). Infatti, se il Comune non avvia la domanda, il cittadino, che pur ne avrebbe diritto, non può usufruire del fondo. La causa è proprio la resistenza dei Comuni, spaventati dalla possibilità di doversi poi accollare oneri, che attualmente non assumono. Temendo che il Fondo regionale non sia sufficiente a coprire tutte le spese, evitano di attivare percorsi che potrebbero determinare nuovi oneri (anche se dovuti).

Riportiamo di nuovo quanto scritto in questi anni: “Il nodo è tutto qui: perché il contributo regionale sia conveniente per i Comuni deve essere a rimborso; e perché ciò si verifichi, deve essere cambiato il percorso del contributo: l’utente è chiamato a contribuire secondo quanto stabilito dalla disposizione regionale (niente, in parte, tutto). Quello deve pagare e quello paga. L’altra quota rimane in capo al Comune. In caso contrario, il diritto dell’utente a pagare quanto previsto rimane aleatorio e dipendente dalla scelta comunale di attivare il percorso.

Sul dato 2019 basti evidenziare questo: il Fondo ha avuto in totale 487 beneficiari su un potenziale di almeno 1.500. È ipotizzabile che quasi il 70% non abbia i requisiti per l’accesso? Che, ad esempio, per quanto riguarda la disabilità, in 5 Ambiti (3, 5, 16, 18, 24) nessun beneficiario abbia i requisiti per l’accesso o che in altri 5 (4, 9, 15, 22, 23) i beneficiari siano solo 11? Analogo discorso si può fare per la salute mentale. Se solo in un Ats non si ha beneficiari, in 13 Ats i beneficiari sono 31; negli altri 9: 154.

2) Residenze sociosanitarie anziani. Le nuove convenzioni riguardanti le Rsa anziani e derivanti dall’aumento dei posti previsti dalla Dgr 1269/2020 evidenziano, una volta in più, il buco programmatorio che riguarda la funzione di questa tipologia di struttura, nonostante che di anno in anno aumentino il numero dei posti convenzionati. Il funzionamento dei circa 1.200 posti attivi è assai diversificato, in particolare tra quelli gestiti da Asur e quelli convenzionati con il privato, ma anche all’interno di questi ultimi, come appunto confermano queste ultime convenzioni. Una problematica che, peraltro, riguarda anche i posti di cure intermedie, che spesso hanno funzioni assimilabili a quelle delle Rsa (ad esempio l’esenzione dal pagamento nei primi 60 giorni, certifica per entrambi un utilizzo assimilabile alla post acuzie ospedaliera). In alcune (ad esempio nelle convenzioni dell’Av1), la quota a carico dell’utente proveniente dal domicilio scatta dal primo giorno (benché nessuna norma regionale lo disponga); nell’Av2 non si specifica che, dopo i 60 giorni, su valutazione Uvi, a determinate condizioni (come specificate dalla Dgr 706/2006) può disporsi il mantenimento della gratuità del ricovero; nell’Av1 si prevede ricovero anche di “adulti disabili” e la quota alberghiera è di € 42,50 “salvo specificità locali”, riprendendo una vecchia formulazione riguardante le residenze protette (Dgr 704/2006) e rendendo così possibile l’aumento della quota a carico degli utenti (il gruppo Kos, ad esempio, fattura come prestazione aggiuntiva il servizio lavanderia).

A prescindere dalle motivazione del ricovero e se esso viene ripetuto nel corso dell’anno, nell’Av1 sono gratuiti i primi 60 giorni dal primo ricovero; nel caso di ricovero ospedaliero nell’Av1 non viene pagata la quota sanitaria, mentre nell’Av2 e Av4 si paga il 50%. Il mantenimento del posto non derivante da ricovero ospedaliero è di massimo 7 giorni all’anno nell’Av2; 15 nell’Av4; 5 nell’Av1. Nell’Av4 l’utente deve pagare per intero la retta, nell’Av1, il 70%, nell’Av2 nulla viene specificato. Nell’Av4, in caso di ricovero
ospedaliero, l’utente non è tenuto a versare la retta; nell’Av1 e Av2 non viene specificato nulla. In tutte le
strutture l’utente rimane in carico al Mmg. Occorre aggiungere altro per chiedere una regolamentazione,
non meramente amministrativa, di questa tipologia di struttura
?

Poi c’è l’altro aspetto: quello dei criteri per accesso, permanenza, dimissione, genericamente definiti dalle norme regionali e altrettanto nebulosamente applicati a livello locale. Non introduciamo qui di nuovo il tema dell’organizzazione e del funzionamento delle Unità valutative distrettuali e ora, per le demenze, dei Centri disturbi cognitivi e demenza (da quale personale sono composte? dove sono collocate? come operano?).

Le convenzioni per gli anni 2019-20 delle residenze protette (Av1, Av2, Av3), con accordi immutati da oltre 10 anni, non possono che riproporre problemi vecchi e colpevolmente non affrontati. A partire dagli inadeguati standard assistenziali, che andrebbero letti e analizzati alla luce degli effetti della pandemia su queste strutture (a proposito: a quando i dati complessivi di contagi e decessi nella strutture residenziali?).

Basta sfogliare le singole convenzioni e verificare nelle prestazioni aggiuntive a carico degli utenti, in quali casi sono addebitati oneri per prestazioni sanitarie e sociosanitarie (infermieri, Oss, fisioterapisti), al fine di garantire servizi adeguati alle necessità delle persone ricoverate. Non aggiungiamo ora altro a questioni note (rimandiamo al nostro Quaderno, L’assistenza residenziale anziani nelle Marche. Prima e dopo il coronavirus), sulle quali si deve decidere solo se finalmente intervenire o continuare a far finta di nulla.

C’è però un punto che non si può non rimettere all’attenzione, ed quello riguardante i posti letto riservati alle persone con demenza. All’aumento (indispensabile) dei posti dedicati, fa da contraltare la frammentazione degli stessi attraverso il convenzionamento di qualche unità all’interno della residenza. Se i posti dedicati hanno la funzione di qualificare la risposta, ci chiediamo come sia possibile che questo possa avvenire solo con il convenzionamento di qualche unità. Considerato che la Regione Marche ha deciso di istituire nuclei dedicati (con specifici percorsi autorizzativi) per le persone con demenze (Rsd, Rpd), ci si chiede quale qualità può garantire uno struttura che convenziona 2/4 posti.

Quale progetto di struttura può caratterizzare situazioni di questo tipo? Se si crede alla necessità di specializzazione e dunque di specificità, non si può prescindere dalla costituzione di nuclei. Se invece non ci si crede, si preveda una sola tipologia di struttura che ospita persone con bisogni differenziati. Altrimenti difficile che tutto questo non si risolva nella possibilità per le strutture di aumentare il budget e una presa in giro per gli utenti ed i loro familiari. È peraltro paradossale che, a fronte di problemi ultradecennali, i nuovi requisiti di autorizzazione approvati lo scorso luglio non siano intervenuti sulle note criticità.

Servizi diurni. Nella nostra regione i Centri diurni si sono caratterizzati per una diversa regolamentazione e disciplina, confermata negli interventi di sostegno a fronte della pandemia. In particolare, una regolazione specifica (o meglio speciale) hanno sempre avuto i servizi afferenti alle cosiddette strutture “ex art. 26/833” autorizzate ai sensi della ex legge 20/2000. In fase di ristoro, nel complessivo dei servizi diurni (di tutte le tipologie) si è avuta la seguente situazione:

A) sostegno ai Cd (tutte le tipologie) gestiti dagli enti affiliati ad Aris (Dgr 1264/2020) con aumento della tariffa riconosciuta del 20% sul periodo 1 marzo/31 dicembre 2020 (tale aumento ha riguardato anche le prestazioni ambulatoriali e domiciliari).

B) Contributo ai soli Cd disabili (ex legge 20/2002, Cser) derivante dal fondo nazionale (per le Marche pari a 1.040 milioni euro, Dgr 1568/2020).

In sostanza rimangono fuori dal sostegno tutti i Cd non gestiti da Aris e gli Cser. Quindi la gran parte di quelli per anziani/demenze e salute mentale, che si possono stimare in almeno 1.000 posti, è rimasta esclusa.

Servizi sociosanitari. Progettualità prioritarie. La lettura della Dgr 1697 del 31.12.20 lascia sconcertati. Abbiamo sempre interpretato il significato delle “progettualità prioritarie” come un’opportunità offerta ai territori, volta ad individuare necessità emergenti in limitati ambiti (una o due progettualità in uno o due ambiti). Assistiamo invece a richieste che nulla hanno a che vedere con quell’impostazione. Un elenco infinito di richieste per servizi più remunerativi o per cambiamenti, che, se fossero accolti, cambierebbero alla radice la struttura dell’Atto di fabbisogno. Ogni previsione necessita di manutenzione, ma in questo caso pare di essere ben lontani da questo percorso. L’impressione, non da ora, è che si sia attivato un percorso nel quale l’implementazione dei posti convenzionati risponda a criteri che poco hanno a che fare con una corretta programmazione.

Screening Covid utenti e operatori servizi domiciliari. Da ultimo, ritorniamo sulla richiesta di screening agli operatori e utenti dei servizi domiciliari. Ci sembra grave la sottovalutazione rispetto all’esigenza di test nei confronti di queste persone. Ricordiamo che uno stesso operatore lavora con più persone. Se opportunamente nei servizi diurni e residenziali i test vengono effettuati ogni 15 giorni, non si capisce in base a quale motivazione un’analoga disposizione non debba riguardare anche i servizi domiciliari. Molti di questi sono servizi a gestione comunale, ma riguardano persone non autosufficienti (sono circa 5.000 a livello regionale)».

Gruppo Solidarietà

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