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Pace Coesistere pacificamente, unico antidoto alla guerra

La storia ci insegna che nessun conflitto si è concluso senza un’equilibrata intesa tra le parti

di Filippo Bartolucci

Sabato 5 novembre si è svolta, a Roma, una grande manifestazione per la Pace. È per me motivo di orgoglio scrivere che da Jesi tante amiche e tanti amici, tante compagne e tanti compagni, hanno partecipato a questa grossa manifestazione, in cui, per dirla con Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, eravamo “più di 50 e non pericolosi”. 

Eravamo a Roma per chiedere la PACE. È da qui che parte la mia riflessione. 

Questa guerra, di cui è difficile prevedere la conclusione e l’esito, segna un tornante della storia europea. Si tratta di un conflitto che coinvolge le grandi potenze e che vede sul campo una potenza nucleare: chi lo dice che non sarà violata la linea rossa dell’attacco nucleare? È una guerra che provocherà nel cuore dell’Europa una frattura, direi una “cortina di ferro”.  

Ovviamente questo non toglie nulla alle enormi responsabilità di Putin: l’aggressione non ha giustificazioni. Eppure, chi sta operando per fermare la guerra? Direi Papa Francesco. Uno dei pochi uomini di Stato con una visione mondiale. Lo stesso, d’altro canto, che qualche giorno fa ha detto una cosa: “Le grandi potenze, quando sono in declino, fanno la guerra”. Reagiscono al loro declino attraverso la guerra. 

Andando al di fuori dei giudizi costituzionali, politici e strategici che si mettono al centro della scelta di inviare le armi, è ovvio che questa non sia la strada per raggiungere un accordo che stabilisca il nuovo ordine di pace nel mondo. La domanda è sempre la stessa: l’obiettivo dell’Occidente è vincere la guerra? Francamente faccio fatica a capire questa strategia.

Sconfiggere la Russia è una strategia militare e politica che apre scenari inquietanti. È una prospettiva lunga ma, soprattutto, pericolosa. L’idea che la politica e la diplomazia non abbiano alcun ruolo nel raggiungimento della pace appartiene a una visione suicida della storia. 

In questo drammatico quadro manca una visione politica volta a favorire il superamento della guerra. Manca, cioè, il ripristino di un’antica formula: la coesistenza pacifica. È necessario un accordo di sicurezza in Europa, che non può consistere esclusivamente nell’allargamento della Nato, ma che deve tenere conto dell’esigenza di sicurezza di chi nella Nato non c’è. A quest’esigenza si dovrà rispondere.

Agli Stati Uniti conviene spingere la Russia sotto l’orbita della Cina? Quali potrebbero essere le conseguenze, anche per noi europei, di una nuova diarchia, tipo quella Usa – Urss, nell’Oceano Pacifico?

Poco tempo fa è morto Michail Gorbačëv. Ripensare alla sua politica significa oggi porsi davanti a una questione: com’è stato possibile che il clima di pacificazione in Europa, introdotto dall’ultimo segretario generale del Pcus con l’abbattimento del Muro di Berlino, il ritiro delle truppe sovietiche dall’Europa orientale e lo scioglimento del Patto di Varsavia, sia stato rovesciato nel suo contrario?

La politica ha il compito di promuovere una Conferenza Internazionale, sullo stile di quella di Helsinki del 1975, in grado di garantire la pace e la sicurezza tra le nazioni. È qui che hanno vinto le democrazie: nella coesistenza pacifica.

D’altronde la storia ci insegna che nessuna guerra si è conclusa senza un’equilibrata intesa tra le parti.

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