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il parere dell’esperto

PAGINE DI STORIA IL SENTIERO DELL’ORTICA

Uno spazio dedicato alla Storia, quella della Vallesina, raccontata attraverso i personaggi, le vicende e le curiosità.

 

Rubrica a cura di Riccardo Ceccarelli

 

 

 

IL SENTIERO DELL’ORTICA

L’antico viottolo saliva dal Fosso del Maltempo o della Caciampa – nella sua parte superiore – fino alla Torre, piccolo agglomerato di case attorno ad una fortezza del XIV secolo, dove incrociava la strada bianca, contrada Torre appunto, che da Castelplanio scendeva verso Macine, frazione del paese che nel suo nome secolare ricordava non solo un molino del XV secolo ma anche un’attività manifatturiera protrattasi fin oltre l’Ottocento. Lo chiamavamo “l costaró”. Era sconnesso il viottolo con sassi e pietre non squadrate, qualcuna addirittura si muoveva sotto il calpestio dei passi e bisognava stare attenti a non inciampare e cadere: chi lo percorreva tutti i giorni sapeva dove mettere i piedi, in particolare lo sapevano quelle lavandaie che scendevano dal paese con in testa le ceste di biancheria delle famiglie più benestanti, e si fermavano sul fosso nei pressi di un ponticello formato da quattro tavole, dove un lavatoio con l’acqua sempre corrente facilitava il loro lavoro. Anche mia nonna paterna, Gentile, trovava il tempo di lavare la biancheria della famiglia Romagnoli, dopo aver atteso al marito, nonno Adamo, e ai figli, undici ne ebbe, uno ogni due anni in media.

Altri tempi, altre tempre di donne. Ai lati del viottolo una vegetazione spontanea, siepi di spini, biancospini, scanci, roverelle e altre specie più o meno infestanti e invadenti che in certi punti, di primavera, minacciavano di coprire il viottolo se il quotidiano passaggio delle persone non lo rendessero più accessibile e aperto. Non mancava l’ortica, anzi a primavera inoltrata era più folta e arrivava sulla zona di calpestio del viottolo. Non avevamo allora né scarpe da ginnastica né da trekking, ma sandali aperti da aprile ad ottobre, e l’ortica sui piedi pungeva come pungeva le gambe scoperte qualche rametto di ortica più cresciuto che non riuscivi ad evitare. Sì, perché allora si aveva, noi bambini o ragazzi, i pantaloni corti tutti i mesi dell’anno. Si era nei primi anni Cinquanta del secolo scorso, frequentavo quel viottolo per andare a messa in paese alla domenica con mia madre, mia sorella e altre donne del vicinato, ma l’ho frequentato tutti giorni da febbraio a giugno nel 1954 per recarmi dalla maestra Ribichini che preparava alcuni di noi di quinta elementare all’esame di ammissione alla scuola media. Dopo le ore di lezione del mattino, andavo di fretta su a Castelplanio senza pranzare con i miei: mia sorella, a poco più di mezzo chilometro da casa, prima di incominciare la salita per il paese mi portava il pranzo, due fette di pane con quello che mamma vi aveva messo dentro (spesso piccole porzioni di lonzino di fichi), mi consegnava la cartella con libro e quaderni, le riconsegnavo quella della scuola, e via. Mentre camminavo consumavo il pranzo attento alle pietre del viottolo e a non urtare con i piedi o le gambe scoperte l’ortica che già conoscevo.

L’incontro con l’ortica era quotidiano, cercavo di evitarla e spesso ci riuscivo. A volte poteva capitare di urtarla, si sopportava il forte prurito, e… pazienza! Quando però si voleva cogliere un fiore che magari aveva nei pressi piante di ortica, ci si passava le mani sui capelli, e se per caso si toccava l’ortica, non si percepiva alcun fastidio: la protezione veniva dal sebo dei capelli che aveva creato sulla mano un’invisibile quanto utile interstizio tra le foglie di ortica e la pelle della mano stessa. Il viottolo pietroso con spini e ortica: lo conobbe bene anche mia sorella quando appena concluse le elementari si recava anch’essa ogni giorno in paese dalle suore per apprendere cucito e ricamo. Un viottolo rimasto nei nostri ricordi con i suoi biancospini, ortica e pietre sconnesse. Percorrerlo in salita o in discesa era sempre una piccola avventura rimasta viva nella memoria, anche se il tempo ne scolorisce i contorni: immagini lontane delle quali a volte si sente nostalgia come dell’allora spensieratezza di ragazzi.

Riccardo Ceccarelli (storico e componente della Deputazione di Storia Patria per le Marche)

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