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POLITICA Zingaretti e “la mossa del cavallo”

Il Pd è disorganizzato in correnti e tenta in tutti i modi di curarsi con le più svariate terapie, tutte invariabilmente sbagliate: le Marche un esempio

Con tutte le volte che si è abusato dell’espressione “la mossa del cavallo”, ci mancava che non la facesse proprio “il fratello di Montalbano”: e Nicola Zingaretti ha sorpreso tutti ieri con le sue dimissioni da segretario nazionale del Pd.
Inaspettate, anche per chi le aveva auspicate (amici e nemici, sia chiaro), per chi le aveva pianificate e per chi aveva brigato (more solito, da quelle parti) per circondare la segreteria.

Nicola Zingaretti

Talmente inaspettate che ora anche parecchi avversari interni di Zingaretti si sono affrettati a fare un drastico dietrofront dalle loro congiure e a fustigarsi, chiedendo che le dimissioni siano ritirate e affrettandosi tutti (amici e nemici interni) ad annunciare che l’Assemblea nazionale del Pd, il prossimo 13 marzo, respingerà le dimissioni.
Destino infausto di molti leader del Pd passati, ottimi sempre nei loro ruoli, che una volta eletti segretari risultavano “diversi”, deludevano le aspettative create dal loro curriculum. Con stili e motivi diversi, successe con Bersani, successe con Renzi, è successo anche con Zingaretti. Ma queste dimissioni lasciano l’amaro in bocca.
Non solo per la sorpresa, anche perché il messaggio inviato per motivarle fa trasparire il profondo disagio interno al Pd (e fin qui si sapeva) e l’amarezza del segretario dimissionario.
Che è l’amarezza di una brava persona. Zingaretti (come Bersani, peraltro) è una brava persona, non lo si può negare.
(Vorrei tesservi anche le lodi della persona Renzi, ma ora come ora è fatica di Sisifo…)

Cosa comportano le dimissioni di Zingaretti? Teniamo l’ipotesi per ora annunciata: l’Assemblea nazionale respinge le dimissioni. Segue la processione di capi cosparsi di cenere al suono lamentoso di “Nico’ nun ce lascia’!”.
A questo punto, Zingaretti si troverebbe rafforzato (“se proprio insistete, ma adesso si fa come dico io!”). Si, perché contrariamente a quanto pensa la vulgata, nel Pd il leader non decide nulla in autonomia, perennemente perso nei calcoli dei pesi specifici di questa o quell’altra corrente, tentando di accontentare tutti. Che notoriamente è l’unico modo per scontentare tutti.

Essere inclusivi, rispettosi delle diverse sensibilità (che sono una ricchezza, ça va sans dire!)” è l’espressione nel lessico piddiese. Molti militanti (e anche elettori), in numero sempre crescente, aspettano un Mosè che li guidi al termine del deserto (occhio, che 40 anni non sono ancora passati…), sperano in un leader che faccia il leader, non che cerchi sempre di normalizzare tutto e tutti. L’autorità di Mosè non la discuteva nessuno, però: la sua era parola del Signore e chi non era d’accordo solitamente faceva un brutta fine per feroce intervento divino. Ora, non che si debbano fulminare tutti i divergenti dalla linea, ma dare una linea ogni tanto, un messaggio chiaro, e pretendere che tutti remino nella stessa direzione non dovrebbe essere qualcosa di eccessivo.

Il Pd invece, all’opposto della Dc (che era organizzata in correnti), è disorganizzato in correnti, è un malato conscio della sua condizione clinica, che tenta in tutti i modi di curarsi con le più svariate terapie. Tutte invariabilmente sbagliate, sempre il contrario di quello che serve.
Il Pd ha un problema, che imporrebbe una rifondazione radicale. Ma anche la situazione locale del partito marchigiano dimostra che non è in grado di affrontare il percorso: chi è causa del problema si incarica di risolverlo. Si può dare credito a questa ipotesi quanto se ne dà all’acolista che dice di curarsi coi grappini.

Non andiamo troppo a fondo dei problemi strutturali interni, facciamola semplice, così che anche i più duri d’orecchio possano capire: se gli ultimi due segretari sono fuggiti dal Pd, fondando un altro partito, un problema ci sarà; se nelle Marche gli ultimi due capigruppo in Consiglio regionale (Busilacchi e Urbinati) parimenti sono andati in altri due partiti, un problema ci sarà; stanti questi problemi, se le spinte opposte in seno agli organi nazionali impediscono ogni intervento, ogni realtà locale è lasciata a fare, ma soprattutto a disfare, in autonomia incontrastata, un problema ci sarà (non so: perdere la Regione e Senigallia, prima Jesi e Chiaravalle, per non parlare di altre “roccaforti rosse”, sarà un problemino da affrontare o no?).

Non sappiamo quale sia il Messaggio che gli elettori del Pd vogliono sentire (sapete, le diverse sensibilità…), ma che sia giallo, che sia blu, che sia dolce, che sia salato, si dia un messaggio; o per dirla con Nanni Moretti, “Dì qualcosa di sinistra, dì qualcosa di destra, ma dì qualcosa!“.

Di queste forze interne divergenti a 360 radianti Nicola Zingaretti crediamo ne abbia avuto abbastanza. Spicca un passaggio della sua lettera di commiato, essenza e sintesi del brutto clima che si respira nel partito: “Mi ha colpito il rilancio di attacchi anche da chi in questi due anni ha condiviso tutte le scelte fondamentali che abbiamo compiuto” (e qui la figura semisolida di Giachetti appare mentre pronuncia il suo iconico “siete delle facce da culo!”).

Non ci si ascolta più e si fanno le caricature delle posizioni.”, prosegue: beh, finalmente si dicono le cose come stanno.

E fallo te, allora!”, ci aspettiamo che dica in queste ore Zingaretti a tutti i marpioni che in questi due anni hanno presentato proposte assurde, irricevibili, rubate alla Meloni e chi ha più assurdità, più ne metta, contrapposte a quelle belle, nobili e propriamente di sinistra. Le due fazioni (magari fossero solo due) si annullano a vicenda e i risultati sono continui compromessi e mezze misure, esponenti allineati e obbedienti e galletti che starnazzano in Tv ogni volta che la loro mozione non passa.

Gli ultimi segretari del Pd hanno dovuto fare equilibrismo fra queste componenti scomposte. Rimaniamo dell’avviso che ogni tanto qualcuno dovrebbe esser cacciato, onde evitare di far scappare i segretari.

Perché con questo andazzo, quelli che rimarranno, in una perversa selezione darwiniana, saranno solo i peggiori.

(m.m.m.)

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