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RITRATTI Luca Butini, un medico per la cultura jesina

“Ritratti” è un contatto dal quale prende forma un’intervista che non ti aspetti, a tu per tu con volti e personaggi che riescono ad attirare interesse

 

JESI, 30 luglio 2020 – Una persona per bene, che svolge il suo lavoro con serietà e rispetto degli altri, elegante nell’animo prima ancora che nei modi. Se si chiedesse in giro, questo direbbero di lui gli jesini, che amministra da otto anni a fianco del sindaco Massimo Bacci: è Luca Butini, classe 1957, medico, vicesindaco e assessore alla Cultura del Comune di Jesi.

Iniziamo dal “principio”. Lei è nato a Verbania sul Lago Maggiore. Cosa l’ha portata a Jesi?

Il lavoro di mio padre, Gianfranco. Venne nelle Marche all’inizio del 1971 per sovrintendere alla costruzione di uno stabilimento a Monsano. Finite le scuole mia madre, mia sorella ed io, allora vivevamo a Milano, lo raggiungemmo e decidemmo di scegliere Jesi come città in cui vivere. Considero dunque le Marche la mia terra e Jesi la mia città, ritengo fortunato il destino che ha portato qui la mia famiglia.

Quando ha capito che voleva diventare medico?

La scelta è maturata alla fine del liceo classico. Lo studio non mi spaventava e la professione mi appariva affascinante. Si è rivelata tale ed anche coinvolgente e gratificante. La vivo in continuo divenire, se ti poni con l’atteggiamento giusto, se mantieni il “fuoco” sul tuo obiettivo, il paziente, allora hai l’occasione, ogni giorno, di mettere in pratica ciò che hai imparato e al tempo stesso imparare qualcosa di nuovo.

Dal 2012 è assessore e vicesindaco del Comune di Jesi. Un lavoro quotidiano, fatto di relazioni e di ascolto. Un episodio che le è rimasto particolarmente nel cuore?

Ce ne sono molti, fatico ad individuarne uno. Citerei da un lato la percezione della responsabilità che dalle tue scelte derivano conseguenze per tutti i tuoi concittadini; dall’altro la scoperta della dedizione di tanti che lavorano spesso con poche gratificazioni. Ho conosciuto persone splendide, molto capaci e motivate, che nobilitano la definizione di “pubblico dipendente”. L’esperienza che sto vivendo da allora costituisce una grande occasione di crescita, culturale ed umana.

In qualità di massimo esponente delle istituzioni culturali ha conosciuto molti personaggi famosi. Chi l’ha colpita di più e perché?

Mi ha colpito la spontaneità di Roberto Benigni – nato nello stesso paese di mio padre, ne abbiamo parlato – del quale conservo un ottimo ricordo. E poi i tanti protagonisti dello spettacolo che si sono esibiti al Pergolesi, tutti rapiti dal fascino del nostro Teatro e dal calore del pubblico.

Il progetto lavorativo di cui è più orgoglioso?

Riportare in vita il Museo Archeologico di Jesi e del territorio è stata una vera impresa, quel dossier è stato uno dei primi sul mio tavolo. Il museo era chiuso da anni ed il primo passaggio è stato ricostruire una relazione di fiducia con la Soprintendenza dei Beni Archeologici, allora intenzionata a non concedere più le collezioni che erano state temporaneamente depositate ad Ancona. La scelta di realizzare il Museo a Palazzo Pianetti è stata premiante ed ha consentito di recuperare un tassello imprescindibile della nostra identità culturale. E poi l’Art Bonus: il primato di Jesi in Italia nell’applicare il nuovo decreto alla fine del 2014 ci ha dato grande visibilità nazionale.

Le sfide del prossimo futuro?

Riguardano il posizionamento del Museo Federico II Stupor Mundi nel panorama federiciano nazionale ed internazionale, il mantenimento dei titoli ministeriali della Fondazione Pergolesi Spontini, lo sviluppo armonico della rete museale cittadina (siamo stati definiti una “città museo” e questo è un biglietto da visita che ogni jesino deve esibire), la crescita dei quartieri periferici.

Lotta al coronavirus: come immunologo e come amministratore è stato subito impegnato in prima linea.

Nella prima fase sono intervenuto sui social media, come mai prima d’ora, per cercare di diffondere informazioni che consentissero ad ognuno di adottare comportamenti corretti; sapevo che solo così si sarebbero potuti limitare i danni. Adesso i Comuni dovranno dimostrare di avere la capacità di intercettare i bisogni delle persone, delle famiglie, dei lavoratori in difficoltà.

Cosa ci insegnerà secondo lei questo delicato momento storico?

Che il mondo è sempre più piccolo. Non ci si potrà disinteressare di ciò che accade lontano da noi pensando che non ci riguarderà mai. E non si potrà più abbassare l’attenzione.

Gioia Morici

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