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RITRATTI L’agricoltura è femmina, parola di Francesca Gironi

francesca gironi

“Ritratti” è uno spazio nel quale prende forma un’intervista che non ti aspetti, con persone e personaggi che riescono ad attirare interesse

 

JESI, 5 novembre 2020 – È della terra del Verdicchio la vicepresidente della Commissione femminile Copa-Cogeca, l’organismo che riunisce le organizzazioni agricole europee e gestisce problemi e prospettive delle aziende rurali del nostro continente. Si chiama Francesca Gironi ed è una giovane e determinata imprenditrice di Jesi che, a livello locale, ricopre anche il ruolo di delegata regionale per Coldiretti Donna Impresa.

 

Dalle Marche all’Europa è un bel salto: c’è tutto un altro mondo fuori dal nostro guscio oppure in questo settore ci uniscono più punti in comune di quanto possiamo immaginare?

«Le donne italiane che lavorano nel settore agricolo hanno molto in comune con le colleghe europee, primo tra tutti il problema di conciliare i tempi della vita familiare con quelli del lavoro e la necessità di maggiori servizi a proprio supporto. L’unica eccezione è costituita dai paesi del nord Europa, mi riferisco a Finlandia, Svezia e Norvegia: lì il sostegno alle donne e le politiche a tutela della famiglia ci sono e funzionano. Tutto un altro mondo, sono veramente avanti rispetto a noi».

Una delle tematiche recenti che avete discusso in Copa?

«Abbiamo portato avanti la battaglia per il riconoscimento dell’origine dei prodotti. Un impegno politico partito proprio dall’Italia: ritenevamo la questione di rilevanza fondamentale e ci siamo spese con fermezza nei confronti di quei Paesi che non avevano ancora maturato questo tipo di sensibilità. Grazie al nostro impegno abbiamo ottenuto una legislazione europea più attenta rispetto all’etichettatura alimentare dei prodotti».

Ma quali sono le maggiori difficoltà che devono affrontare oggi le imprenditrici agricole?

«In alcuni casi (per lo più Europa dell’est) le donne hanno ancora problemi a farsi intestare la terra dove lavorano. In tutti i Paesi europei, incluso il nostro, hanno difficoltà di accesso al credito. Dal punto di vista aziendale siamo ancora discriminate».

Quindi anche il settore agricolo è maschilista?

«Sì. Però noi stiamo dando forti colpi di piccone al sistema. Lo scenario negli ultimi anni sta cambiando: le figure femminili che si sono affacciate in questo campo sono sempre di più, molte hanno ereditato l’azienda dove operano, molte si sono inventate imprenditrici da zero e tutte hanno portato una grande carica motivazionale e una forte ventata di novità. Le donne con la loro fucina di idee hanno completamente rinnovato il settore, mi riferisco soprattutto all’erogazione in ambito agricolo di servizi socio-educativi».

Quindi, come è stato detto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, le donne oggi hanno un ruolo chiave nella promozione dello sviluppo rurale.

«Decisamente. Sono le vere protagoniste dell’agricoltura moderna. Attraverso la loro creatività e sensibilità hanno reinventato il modo di fare agricoltura. Ci sono mille nuove sfumature adesso attorno al modo di intendere il nostro lavoro».

Ma nel tuo caso com’è nata l’idea di stare al timone di una impresa agricola?

«Tutto è nato grazie al mio grande amore per i cavalli. Nel 2008 ho aperto l’azienda agricola “Le Noci” che col tempo è diventata una realtà imponente. Oggi il nostro centro, che si trova in località Piandelmedico a Jesi, è un Circolo Ippico che si estende su una superficie di duemila metri quadrati. Svolgiamo attività che spaziano dal pony games all’agonismo all’ippoterapia, abbiamo un maneggio coperto, due campi ostacoli esterni, un Club House. Siamo inoltre una farm community che organizza percorsi di autonomia personale per aiutare persone in difficoltà attraverso il contatto con la natura. Ci occupiamo anche di produzione di mangimi bio e siamo fattoria didattica.

Questi risultati sono arrivati in modo naturale o dopo un percorso impegnativo?

«Direi faticoso».

Come mai?

«Beh, all’inizio nessuno mi credeva e mi dava fiducia».

Perché sei una donna?

«Temo di sì».

Come sono arrivati gli incarichi istituzionali?

«È stata Coldiretti che mi ha proposto la carica di delegata. Una gratificazione ma anche una corposa responsabilità. Sono portavoce di tante colleghe che voglio rappresentare al meglio. Per me è un onore raccontare ciò che facciamo, siamo delle vere pioniere».

Qual è secondo te il problema più urgente da risolvere in ambito agricolo?

«A livello nazionale bisognerebbe ammodernare la Legge 21 del 2011 che regola le attività all’interno delle aziende agricole. A livello regionale occorrerebbe dare sostanza ai progetti che valorizzano le aree interne, mi riferisco in particolar modo alle zone danneggiate dal terremoto. Non ce le dobbiamo dimenticare».

Hai incontrato chi lavora in quelle zone?

«In molte occasioni. Nonostante le difficoltà sono persone con una dignità enorme, nessuno implora né elemosina niente, ma soprattutto, a distanza di 4 anni dal sisma, nessuno ha mai pensato di abbandonare la propria azienda, i propri animali, il proprio territorio e non è una cosa tanto scontata. Va fatto di più per questa gente».

Se tornassi indietro, cambieresti qualcosa relativamente alle tue scelte professionali?

«No. Tutto è stato utile, anche lo studio giuridico svolto prima di questo mestiere. Ho conseguito una laurea in Scienze Giuridiche Applicate a Jesi e una seconda laurea a Camerino in Giurisprudenza».

Cosa consiglieresti ad una ragazza che in questo momento volesse aprire un’azienda sua?

«Di farlo assolutamente. Gli spazi ci sono e soprattutto le opportunità di sviluppare le proprie idee. Questo lavoro è fonte di grande soddisfazione».

Del tuo mestiere cosa ti piace di più?

«Il contatto coi cavalli e con la natura, lo ritengo un autentico privilegio. In più ho la fortuna di lavorare con le categorie che la società ritiene svantaggiate ma dalle quali io in realtà traggo preziosi insegnamenti».

Nella tua azienda hai infatti promosso importanti progetti sociali, tra cui l’accoglienza di ragazzi con handicap, detenuti e rifugiati politici. Sicuramente avrai vissuto incontri significativi. Raccontami il momento più emozionante.

«Di momenti da ricordare fortunatamente ne ho tantissimi, ma se devo citare un incontro speciale il primo pensiero va a Francesco, un ragazzo di Porto Recanati disabile che per 7 anni ha sperimentato con noi il progetto residenziale. Una persona davvero straordinaria, di rara umanità ed empatia, con cui ho condiviso tante emozioni impossibili da cancellare. Purtroppo a marzo ha contratto il covid e non ce l’ha fatta. Ma io lo porterò sempre nel cuore».

Che ne dici se questa intervista la dedichiamo a lui?

«Ne sarei felice».

 

Gioia Morici

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