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RITRATTI L’irresistibile leggerezza di Lucia Fraboni

“Ritratti” è uno spazio nel quale prende forma un’intervista che non ti aspetti, con persone e personaggi che riescono ad attirare interesse

 

JESI, 15 ottobre 2020 – Voce storica della radiofonia marchigiana, da anni gira con spettacoli di cui è ideatrice, autrice ed interprete e ci regala momenti di pura ilarità grazie a una galleria irresistibile di personaggi comici, gags e parodie divenute ormai dei cult. Con la bidella anconetana Stamura e il suo amore strampalato per il virologo Roberto Burioni è riuscita persino a trasformare l’angoscia del lockdown in una risata liberatoria. Lei è Lucia Fraboni, alias Adalgisa Palpacelli, insegnante di lettere e attrice comica. Lo strano caso del Doctor Jekyll e Mister Hide? Scopriamolo con lei.

 

Lucia, la comicità è una cosa seria?

«È seria dal momento in cui si inizia a pensare ad un personaggio, a dargli forma, a cucirgli una personalità e una vita credibili. È seria quando lavori su un testo, per renderlo efficace, per inventarti situazioni spassose con battute esilaranti che possano far presa sul pubblico».

Cosa, secondo te, fa ridere la gente?

«Il comico è colui che narra la vita che il pubblico vive, proponendone i lati sghembi e il pubblico ride fondamentalmente di se stesso, riconoscendosi in quel personaggio, o in quella situazione: la risata nasce in sostanza dal rispecchiarsi nel gesto comico».

Com’è nata la tua passione per il palcoscenico?

«La mia passione nasce da molto lontano. Se chiedi ai miei compagni di classe delle elementari, ti sentirai raccontare delle mie esibizioni in “Rumore” di Raffaella Carrà sulla cattedra o di “Come è bello far l’amore da Trieste in giù” sul bus che ci portava in gita; o delle imitazioni dei professori delle superiori e il vezzo di imitare i vari dialetti italiani; ricordo che quando si faceva l’autostop per andare a ballare la domenica, spesso mi fingevo bolognese o siciliana, o fiorentina e per tutto il viaggio riuscivo a mantenere la finzione, tant’è che chi era con me si faceva delle grandi risate. Ho sempre pensato che il palcoscenico fosse il luogo dove trovarmi perfettamente a mio agio».

Professoressa di giorno e cabarettista nel tempo libero: possiamo dire che un po’ di sano bipolarismo salva “dal logorio della vita moderna”?

«Penso che ognuno di noi sia “uno, nessuno e centomila”; la mia spalla di sempre, Francesco Favi, con cui collaboro da ben 21 anni, una volta mi ha definito “una sola moltitudine” e penso che questa definizione mi calzi a pennello; riconosco di avere il privilegio di vivere tante vite, quelle dei personaggi che ho creato ed interpreto, a cui cerco di dare verosimiglianza attraverso la scelta dell’abbigliamento, del trucco e parrucco, ma soprattutto attraverso la narrazione delle loro vite in cui mi immedesimo completamente».

E i tuoi alunni che dicono? Qualche personaggio “ti scappa” mai in classe?

«I miei studenti sanno della mia passione per la recitazione e certamente vedono i miei video, ma a scuola non ne parlo, non mi piace pubblicizzarmi, tra me e loro c’è una sorta di patto tacito: io non dico, loro non chiedono; a scuola sono un’insegnante che aiuta i ragazzi a diventare uomini e donne capaci di orientarsi in questo mondo complesso. Inevitabilmente, ogni tanto, qualche battuta ci scappa con conseguente risata da parte loro. Qualcuno mi ha anche imitato… è molto divertente rivedersi nella modalità in cui gli studenti ti vedono! E tra l’altro è l’unico modo per me per rivedermi».

Eri presa sotto gamba all’inizio della tua carriera? Ho il presentimento che per una donna, per di più insegnante di lettere, le cose non siano state facilissime.

«Ti debbo confidare, invece, che la mia carriera è stata in discesa fin da subito. Quando, negli anni Novanta, misi a punto il personaggio dell’estetista maceratese Adalgisa Palpacelli, il primo della mia galleria di personaggi femminili, sono stata presa parecchio “sul serio”, l’effetto fu deflagrante fin da subito, amplificato dal mondo delle radio (dove lavoravo e dove lo proposi) e non ti so dire quante persone seguivano la rubrica “Più sani, più belli, meno troffelli”».

È stato così che hai conosciuto Francesco Favi, la tua spalla storica, vero?

«Sì. Quando non ci conoscevamo nemmeno, Francesco ascoltava la rubrica da solo in macchina, poi mi propose di metterlo alla prova come mia spalla: e chi si sarebbe immaginato che ne sarebbe scaturito un sodalizio tanto lungo e tanto riuscito? Decisi, in seguito, di portare il personaggio di Adalgisa dal vivo e non ti dico quanti organizzatori di spettacoli mi hanno chiamato da allora ad oggi! Poi col tempo sono nate tutte le altre donne che interpreto. Anche oggi sono sempre pronta a sfornare nuovi caratteri: se non ti rinnovi, non puoi andare lontano».

Perché ci sono meno donne comiche rispetto agli uomini? Forse i maschi rispetto a noi sanno prendersi meno sul serio?

«Forse c’è una ragione culturale dietro. Nel mondo dello spettacolo le donne ci sono da sempre, ma sono “ammesse” come presentatrici, attrici, ballerine, imitatrici. La comica destabilizza, è una eccezione e deve faticare di più per essere riconosciuta. Si pensa che se una donna fa ridere è perché non è abbastanza bella (la Raffaele dimostra, però, che non è vero), ma certe comiche del passato come Bice Valori, Tina Pica, Sandra Mondaini, Franca Valeri, seppure non bellissime, sono state immense e hanno dato filo da torcere ai colleghi maschi. Alle donne poi non si addicono certi argomenti concessi agli uomini, devono oltrepassare più steccati, ma c’è sicuramente un gran bisogno dell’ironia femminile».

Un aneddoto divertente che ti è capitato durante una serata.

«Mi trovavo al Teatro di Ostra e prima di entrare in scena per impersonare la professoressa Viridiana Pigliapoco mi sono accorta di non aver il registro in mano, che non solo era parte integrante di quel personaggio, ma era anche il nascondiglio dove mi ero appuntata le battute: ho fatto una corsa a perdifiato giù per le scale per recuperarlo e sono entrata in scena trafelata!».

I tuoi personaggi, tutti squisitamente marchigiani, raccontano con ironia i nostri pregi e difetti: possiamo definirli “maschere della femminilità”?

«Sono in effetti maschere dietro le quali c’è il volto di tanti caratteri: cerco di far intuire la loro verità proprio identificandomi al massimo con ognuna di loro, calandomi nella loro “pelle”».

A quale sei più affezionata?

«Sono affezionata a tutte le donne che propongo, certo l’estetista Adalgisa è stato il primo amore, ma ora tifo per la bidella Stamura di Ancona: sposata con un uomo che l’ha resa infelice, sogna ancora di incontrare il principe azzurro che ha identificato col virologo Burio’ (Roberto Burioni). Il pubblico che ha seguito questa love story, nata sotto il lockdown, ha parteggiato molto per Stamura e alla fine le ha portato fortuna, visto che l’incontro c’è stato!».

Quali “ingredienti” non devono mancare quando costruisci una gag?

«Non devono mancare le pause, i silenzi e soprattutto i tempi comici: quelli o li hai o non ce li hai. Ma spesso lascio spazio anche all’improvvisazione e lì diventa tutto travolgente: certe volte non mi trattengo nemmeno io e mi metto a ridere ed è proprio in questi momenti che la gente ride di più, quando rido anche io. Anche il dialetto è importante: per la riconoscibilità del personaggio il suono è fondamentale, così come l’intonazione, la ridondanza, il volume: tutto contribuisce a definire il carattere e dare forza alla risata».

Riesci (cosa rara) ad essere colorita senza essere volgare.

«Le “parolacce” oggi stanno dappertutto, tv, social, web, anche in prima serata, nessuno si scandalizza più per il linguaggio colorito. Anche io, specie all’inizio della mia carriera, sono ricorsa all’uso di un lessico forte: per un comico una parolaccia assestata, magari a fine battuta, strappa la risata. L’importante è non farne un idioletto ed essere capaci comunque di proporre anche una serata “in doppiopetto”».

Com’è cambiato il tuo rapporto col pubblico con l’avvento dei social e dei canali youtube?

«I social sono stati degli ottimi amplificatori del nostro lavoro: puoi creare una gag, postare un video, scrivere una storia, fare un commento di attualità e depositarlo in modo che il pubblico lo possa vedere e rivedere tutte le volte che vuole. Ma è impegnativo: devi “stare sempre sul pezzo” e produrre velocemente perché le notizie invecchiano in fretta».

Come te la sei cavata con l’emergenza covid?

«Durante il lockdown io ho lavorato moltissimo con i video che realizzavo dallo studio di casa mia, in tranquillità, condizione a me congeniale. Ho avuto migliaia di visualizzazioni e la gente mi ferma ancora per strada per ringraziarmi per l’allegria che ho portato in un momento di grade paura collettiva. Mi hanno detto che ho svolto un ruolo sociale e di questo sono molto contenta».

Parliamo di teatro. Il momento non è dei migliori: cosa dovrebbero fare le istituzioni per rilanciarlo?

«Offrire agli artisti i teatri a titolo gratuito o comunque fare sconti sostanziali: ogni mio spettacolo costa molto (tra artisti, grafica, pubblicità, Siae, realizzazione di video, service etc.) e se ho un pubblico dimezzato a causa del covid, non mi conviene proporre proprio nulla».

Progetti per il futuro?

«Ho buttato giù il testo del nuovo spettacolo teatrale che dovrebbe chiamarsi “Tu per lei, io per voi, tu tra noi”, ma lo debbo rivedere, per scrivere ho bisogno di silenzio e solitudine, un po’ come Paul Sheldon nel film “Misery non deve morire”, ma la mia casa al momento è piuttosto affollata».

La leggerezza può essere una chiave per affrontare i problemi di tutti i giorni? Dacci qualche consiglio per vivere senza mai perdere il sorriso.

«La leggerezza è una condizione essenziale per affrontare i problemi della vita. Italo Calvino scrisse “Prendete la vita con leggerezza, ché leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”. Liberiamoci dai pensieri inutili, nocivi e tossici, non prendiamoci troppo sul serio, affrontiamo con coraggio ciò che il destino ci manda, affianchiamoci a chi ci somiglia, non procuriamo del male, siamo leali, sciogliamo il broncio nella virgola della risata».

Non è facile.

«Lo so, ma io ci provo da sempre».

 

Gioia Morici

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