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RITRATTI Piero Massimo Macchini: quando la comicità parla marchigiano

“Ritratti” è uno spazio nel quale prende forma un’intervista che non ti aspetti, con persone e personaggi che riescono ad attirare interesse

 

FERMO, 17 settembre 2020 – Baffetti da sparviero, sorriso beffardo e inconfondibile accento fermano: Piero Massimo Macchini è di quelli che ti strappano un sorriso subito, bastano poche battute. Del resto, si sa, comici si nasce. E lui, come direbbe Totò, modestamente lo nacque. Attore, mimo e clown, Macchini si forma nella Scuola Internazionale “Circo a Vapore” di Roma e con la Compagnia Teatrale Improvvivo. Dopo anni di teatro, prosa, cabaret e festival itineranti sia in Italia che all’estero, conquista il grande pubblico a colpi di web grazie all’irresistibile caricatura di Cesare Paciotti. Da lì in poi, sarà perché impara ad incarnare il prototipo del marchigiano d’oggi, sarà perché ogni volta trova la chiave giusta per scherzare sui nostri difetti, sarà perché prima di tutto sa ridere di se stesso, fatto sta che il suo successo decolla.

Quando e come hai capito che volevi fare il comico?

«Dal primo vagito! Mamma mi ha partorito a 47 anni e sono l’ultimo di 7 figli: nasco dopo la morte di mio fratello e porto anche il suo nome, quindi sono venuto al mondo per portare gioia nella mia famiglia e per fare LU scemo!»

C’è un comico a cui ti ispiri o un incontro che ha dato l’impronta alla tua carriera?

«Ne ho conosciuti tanti di comici e ognuno di loro mi ha lasciato qualcosa anche se il mio maestro è Domenico Lannutti che è un comico terapeuta. Mi appassionano tutti i tipi di comicità, dai monologhi alle gag in coppia o in trio, mi piace la comicità di parola e la visual comedy: insomma, sono un appassionato del genere a 360 gradi».

Showman, performer, intrattenitore: quale tra queste definizioni ti senti più addosso?

«In realtà non so, ora sono anche scrittore…a me piace tanto “fantasista” che tradotto in marchigiano sarebbe uno che non fa un cacchio!».

Leopardi, il Provincialotto, Iginio Straffi, Paciotti: i tuoi personaggi sono diventati dei veri cult. Come nasce l’idea di fare una caricatura? A quale sei più affezionato?

«Diciamo che io non sono un imitatore ma faccio delle parodie, ovvero prendo un atteggiamento e lo esaspero. Sicuramente Paciotti mi ha dato notorietà, il Provincialotto è il mio “io comunicatore”, Leopardi lo sento dentro, ma quello più romantico per me rimane il Signor Cochetti».

Una curiosità: il vero Cesare Paciotti ti ha mai detto niente?

«Sì e no…meglio saltare questa domanda».

Il tuo modo di fare spettacolo così come i tuoi progetti artistici (penso all’associazione di talenti Lagrù e a Marche Tube) danno tutti voce alla medesima realtà: le Marche. Perché sono così importanti per te le radici e la nostra cultura?

«Il mio obiettivo preciso è quello di creare una maschera della commedia dell’arte nuova: quella del Marchigiano. Le Marche non solo sono importanti, sono una grandissima fonte di ispirazione».

Tua mamma, marchigiana doc, che citi spesso nei tuoi monologhi, come vive la tua professione e la tua notorietà?

«Per fortuna che ha l’Alzheimer e crede che lavori in banca…comunque mamma l’ho fatta sempre ridere».

Il tuo curriculum spazia con disinvoltura dallo show dei Record (un live di 12 ore) a corsi di formazione a esibizioni internazionali fino al mondo dell’editoria: quale progetto citi con maggiore orgoglio?

«Beh, il “Marche Comedy Record” è stata una esperienza incredibile, un progetto super che ha mischiato il live e il web. E poi fare 12 ore di spettacolo di fila lascia una sensazione indelebile».

Un aneddoto divertente che ti è capitato durante uno spettacolo.

«Mi si sono rotti i pantaloni dietro e siccome avevo una spilla da balia con me, me li sono fatti rattoppare da una persona del pubblico».

Questa estate con “Fratelli cugini” eri sul palco con Max Giusti. Come nasce la vostra collaborazione? Come ti trovi in scena con lui?

«Max è mio pronipote, siamo parenti, lavorare con lui è un piacere. Ogni volta imparo qualcosa di nuovo, è un grande maestro. Lo spettacolo, manco a dirlo, è divertentissimo».

Com’è stato ritrovare il contatto col pubblico dopo mesi di lockdown?

«Una figata. Se aspettavo un altro po’ mi impiccavo».

Cosa significa per te far ridere la gente? Cos’è secondo te “la comicità”?

«Si ride per demonizzare la più grande paura che abbiamo che è quella della morte, quindi far ridere significa rendere vive le persone. A me l’umorismo ha salvato la vita».

Un consiglio da “esperto” per riuscire a sorridere più spesso.

«Non aspettare che il sorriso capiti ma cercarlo di continuo, allenarsi al buonumore».

Chiudiamo alla Marzullo: si faccia una domanda, si dia una risposta.

«Qual è il tuo sogno nel cassetto? Aprirlo e trovare una barca de soldi …tutti in nero naturalmente!».

 

Gioia Morici

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