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COVID Screening di massa, CoReSaDiMa: i tamponi sono affidabili?

I dubbi espressi dal “Comitato Regionale salute e diritti Marche” sull’utilità dei test antigenici rapidi

ANCONA, 30 dicembre 2020 – Il 18 Dicembre ha preso avvio l’operazioneMarche Sicure”, un’iniziativa voluta dalla Regione Marche di screening Covid-19 di massa tramite test antigenico rapido.

In attesa dei dati finali dello screening, come Comitato Regionale salute e diritti Marche riteniamo utile verificare quanto siano costati questi tamponi e quali benefici abbiano portato alla nostra collettività. «Siamo i primi in Italia. Operazione da 2,6 milioni di euro. Siamo pronti a partire con un procedimento che viene svolto per la prima volta nel nostro Paese e forse anche in Europa» risulta aver proclamato orgoglioso il nostro assessore regionale alla sanità Filippo Saltamartini.  Di fronte a queste affermazioni una domanda ci è sorta spontanea: «Ma se siamo i primi, ci sarà forse un motivo?». Nel dubbio che il motivo sia o meno quello di avere per la prima volta a capo della nostra Sanità una sorta di “prodige” o di “statista” che nessuna altra regione può vantarsi di avere, siamo andati a verificare come stanno le cose.

L’assessore regionale Filippo Saltamartini

In effetti, la Delibera di Giunta Regionale n.1524 del 30/11/20 stabilisce dei tariffari per la diagnostica Sars-Cov2 individuando in 18,00 euro la tariffa massima riconosciuta ai Laboratori analisi privati accreditati per i test rapidi (Tabella 2 dell’Allegato A). Se si conferma essere questo il costo sostenuto dalla Regione per lo screening avremmo una spesa finora già potenzialmente oltre 1,1 milione di euro. Secondo i dati pubblicati dalla Regione al 29 dicembre, infatti, “Complessivamente nella Regione Marche da venerdì 18 dicembre hanno aderito 65.254 persone con 368 casi positivi al test antigenico rapido. In totale la percentuale di positività è pari allo 0,6% mentre la percentuale di adesione sulla popolazione target è del 19,5%. I casi positivi rilevati sono stati sottoposti al tampone molecolare. 

Un costo decisamente molto alto e destinato a crescere che sarebbe forse accettabile se, quanto meno, i risultati fossero davvero utili al caso. Sappiamo che lo screening è su base volontaria e che per accedervi è necessario non presentare sintomi che indichino una infezione da Covid-19. Si presume quindi che i pochissimi casi positivi riscontrati siano per la gran parte asintomatici. Sarebbero stati quindi impegnati sopra ad un milione di euro per individuare, forse, 368 casi asintomatici? Non ci risulta poi essere stato comunicato se il tampone molecolare ha confermato o meno il risultato del test rapido. 

L’affidabilità di questi test rapido è indubbiamente molto dibattuta. Risulta non vi siano prove scientifiche fortemente consolidate in grado di determinare, oltre ogni ragionevole dubbio, che la positività corrisponda ad infezione da virus Sars-Cov2.  La nota n. 31400 della Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria del Ministero della Salute del 29 settembre 2020  afferma infatti che «la sensibilità e specificità di questo test sembrano essere inferiori a quelle del test molecolare. Ciò comporta la possibilità di risultati falso-negativi in presenza di bassa carica virale, oltre alla necessità di confermare i risultati positivi mediante un tampone molecolare» ammettendo inoltre «la possibilità di risultati falso-positivi (per questo i risultati positivi al test antigenico vengono confermati con il test molecolare), e di falso-negativi (la sensibilità del test non è certo pari al 100%). 

Risulta che il professor Andrea Crisanti abbia recentemente affermato che i test rapidi hanno una percentuale di falsi negativi di ben il 30%.  Pierluigi Lopalco, epidemiologo dell’Università di Pisa e coordinatore scientifico della task force pugliese per l’emergenza Coronavirus, ricorda che «il tampone non sempre rivela il virus, e sono frequenti i falsi positivi». Anche Giuseppe Ippolito direttore scientifico dell’Istituto Lazzaro Spallanzani sottolinea che «i tamponi non funzionano al 100%».

Un recente studio condotto dalla task force Coronavirus attiva presso il centro di biotecnologie avanzate Ceinge di Napoli, finanziato dalla Regione Campania aggraverebbe ulteriormente le critiche di Crisanti, abbassando la sensibilità mostrata dai test al 50 per cento. 

«Si ritiene che i test rapidi basati sulla ricerca antigenica di Covid per ora non offrano sufficienti garanzie in termini di percentuale di casi positivi identificati», si legge nella relazione, firmata dai responsabili del laboratorio della task force coronavirusEttore Capoluongo, Giuseppe Castaldo e Massimo Zollo. «È verosimile – si legge ancora – che, se il test antigenico o il prelievo salivare venissero applicati a soggetti asintomatici o con sintomi meno severi rispetto a quelli ricoverati (presumibilmente con carica virale più bassa), la sensibilità diagnostica potrebbe essere ancora più bassa». 

Di conseguenza, si osserva nella relazione, «il loro impiego clinico, pertanto, sarebbe assolutamente da evitare, soprattutto se il prelievo oro-naso-faringeo venisse effettuato da personale medico non adeguatamente addestrato, se i test venissero eseguiti al di fuori del contesto di un laboratorio, da parte di professionalità non esperte nella interpretazione del dato e dei possibili errori metodologici, e senza un adeguato programma di controllo di qualità che il laboratorio comunemente esegue».

Appare quindi ben evidente un plateale rischio di inattendibilità dei test rapidi antigenici, tanto cari al nostro assessore regionale alla Sanità, che, paradossalmente, potrebbero indurre i casi falsi-negativi a una sovrastimata sicurezza nella circolazione e nei contatti, oltreché all’aggiunta di falsi positivi nel conteggio dei casi rilevati. Sulla base anche dei dati provenienti da questi test, che appaiono all’evidenza, per quanto detto, piuttosto fuorvianti, si basano le decisioni di restrizioni della libertà delle persone e delle attività lavorative

In buona sostanza si sarebbero spesi un sacco di soldi della collettività per avere una sequela di dati statisticamente poco utili? Ci auguriamo a questo punto che sulla base di questo screening, la Regione Marche non si sogni neanche di porre ulteriori restrizioni o coercizioni. Come Comitato e come cittadini pretendiamo di sapere se ed a cosa serviranno questi dati. È valsa la pena spendere così tutti questi soldi pubblici? Non era meglio investirli per potenziare il nostro Sistema Sanitario Regionale, dopo essere stato per anni depauperato e compromesso?

Comitato Regionale Salute e Diritti Marche – CoReSaDiMa

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