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SOTTO ‘E LOGGE (Eremo dei Frati Bianchi)

Convento Frati Bianchi 1Denominato così per il colore del saio che li contraddistingue dai francescani del vicino convento della Romita, i Camaldolesi di Monte Corona, abitarono questo luogo fin dall’inizio del fenomeno del monachesimo dalle nostre parti, intorno all’anno mille.
Affascinati dalla bellezza del luogo e dalla spiritualità che si coglieva immergendosi nelle sue selve e dalla melodia dolce delle sue acque , i frati scavarono qui i loro rifugi, le loro celle facilitati nell’opera dalla friabilità del tufo che costituisce la rupe che sovrasta la valle che però fu anche la causa della scomparsa della maggior parte dei rifugi scavati dai santi monaci perché favorì l’infiltrazione delle acque dilavanti e la conseguente erosione dei rifugi in cui i monaci riuscirono a riparasi per parecchi secoli.
L’inesorabile azione erosiva fu,come detto, la causa delle frane che negli anni cambiarono letteralmente il volto alla struttura del convento, erodendo e limitando il territorio disponibile per le cellette dei frati e per i loro orti alla cui cura ciascuno di essi si dedicava in onore del motto del loro fondatore “Ora et Labora”.
Notevole nei secoli fu l’azione di dissodamento e di bonifica della piccola valle alla quale i monaci si dedicarono insegnando agli abitanti nuove forme di culture e forme di preghiera.
Si era in contatto diretto con il Creatore mentre si dissodava il terreno in mezzo al quale scorrevano fossi di acqua limpida e fresca, abbondanti in ogni stagione, discreti nel loro scendere verso il vicino Torrente Esinante, come il rio del Corvo, specchio al quale la natura rigogliosa del bosco circostante affidava la sua immagine.
I frati coltivavano i loro orti nella più assoluta comodità; tutto il necessario era a portata di mano sia per le necessità del corpo che per quelle dello spirito ed essi crescevano in santità, stimati e venerati dalla popolazione di Cupramontana e dei paesi limitrofi raggiunti dalla fama di santità di questo manipolo di monaci eremiti.
Il luogo era benedetto anche dalla presenza di fonti che per la gente non tardarono ad ammantarsi di leggendarie proprietà curative come quella di Santa Lucia alla quale i fedeli amavano affidare la protezione e la salute degli occhi.
A tutt’oggi ciò che è rimasto in piedi delle secolari strutture del romitorio è ben poca cosa rispetto al nucleo comprendente i dormitori, la chiesa, il refettorio, la biblioteca, le cantine ed i depositi che con tanto sudore e fatica i fratelli avevano eretto negli anni, anche dei numerosi libri che ne facevano un centro notevole di cultura non è rimasto nulla , tutto è andato in rovina o disperso presso privati e collezionisti che non hanno esitato a portare via pezzi di intonaco con gli affreschi rappresentanti la rosa dei venti od altre immani sacre nella chiesetta del convento come la cena di Emmaus od i cieli stellati che sicuramente erano ben visibili e maestosamente sacri nelle notti serene, in mezzo al buio amorevole delle notti in mezzo ai boschi.
Per quanti anni, per quanti secoli il bosco dei Frati Bianchi è stato meta di pellegrinaggi da parte della gioventù cuprense e non solo; molti hanno creduto di rendere indelebile la memoria del loro passaggio incidendo nomi e date sulle vetuste mura che rimanevano a testimoniare il vecchio splendore del posto, sotto lo sguardo severo ma inerme dell’antica meridiana.eremo dei frati bianchi
Nomi di santi frati ricordati ormai solo su qualche foglio e non certo su qualche lapide ormai trafugata, come invece meriterebbero:Beato Giovanni Maris, Beato Matteo Sabbatini, Beato Paolo Giustiniani, i Beati Ludovico e Raffaele Tenaglia, il Beato Antonio da Recanati, il Beato Girolamo da Sessa, medico personale del Papa Leone X, il Venerabile Giustiniano da Bergamo; questi sono alcuni nomi dei venerabili padri camaldolesi che ebbero a cuore al pari della terra anche il benessere delle anime del nostro paese.
Ebbero a cuore, gli eremiti camaldolesi anche la cura della vite che piantarono e coltivarono soprattutto per l’uso ed il consumo della comunità religiosa.
Seppero guidare le acque libere conducendole in fossi scavati a forza di braccia per evitare che la furia delle acque portasse a valle anche la buona terra da coltivare.
Liberarono i fossi ostruiti dai tronchi cedui e vigilarono che il fuoco non arrecasse danno alla vegetazione spontanea ed alla culture seminate nella terra strappata a fatica al bosco.
Fin quando non si percorrono a piedi i sentieri che portano al convento delle grotte non ci si rende conto delle asperità del terreno; solo così si può se pur vagamente apprezzare gli sforzi che i fraticelli hanno fatto per rendere vivibile questo angolo di paradiso.
Da ragazzo, ricordo le passeggiate con gli amici di scuola e di giochi fatte fra i sentieri ricoperti di erbe altissime ed il formidabile appetito che quei passi scatenavano fino a raggiungere i resti del convento al quale rendevano per brevi minuti una nuova falsa vita con le nostre grida e con i nostri giochi.
Quando a sera si ritornava stanchi a casa non ci restava attaccata addosso nemmeno una briciola di santità ma quell’ambiente che lasciavamo rendeva i nostri passi inconsciamente più malinconici e sentivamo che qualche cosa di grande e di eterno era passato in quel luoghi ed avevamo i primi sentori dell’Eterno.
(Pietro Anderlucci)

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