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USB Educatori cooperative sociali: «Ci venga riconosciuta dignità»

«Chiediamo l’istituzione del telelavoro e spostamenti minimi, per non mettere a rischio la salute nostra, dei nostri cari e delle famiglie»

ANCONA, 8 maggio 2020 – Al presidente Anci Marche Maurizio Mangialardi; Al presidente Asp9 Franco Pesaresi.

Egregi presidenti in indirizzo, la scrivente Unione Sindacale di Base segue, da tempo, i lavoratori dipendenti delle cooperative sociali denunciandone a tutti i livelli le condizioni di lavoro e i contratti nazionali di riferimento che, nel loro sviluppo temporale, hanno sempre più determinato un peggioramento degli aspetti economici e normativi della categoria.

Appare del tutto evidente, non solo agli addetti ai lavori, che la crisi pandemica prodotta dal coronavirus abbia aggravato ulteriormente la condizione lavorativa, ma anche familiare, di questi lavoratori “deboli” mettendo a repentaglio la loro salute, i loro salari, gli stessi rapporti familiari. Pertanto l’Usb allega, di seguito, la testimonianza di alcuni dipendenti delle cooperative sociali, operanti nei territori sottoposti alla vostra diretta responsabilità in termini di servizi offerti all’utenza, tutto questo allo scopo di sensibilizzarvi su una situazione che prevediamo in forte peggioramento nelle prossime settimane.

Abbiamo pensato che in questo caso, la testimonianza diretta degli operatori “sul campo” pur riferita agli educatori professionali, fosse la più efficace a descrivere il dramma più generale dei dipendenti delle cooperative operanti nel settore socio-sanitario.

Non possiamo più stare in silenzio

Forse qualcuno ancora non sa che esistiamo anche noi educatori. In prima linea, sempre, ogni giorno, ogni ora di lavoro. Ci rendiamo conto che il presente è nebuloso e il futuro è incerto. Come lavoratori e lavoratrici di cooperative sociali, gestite dai Comuni, abbiamo ben presente cosa significhi prendersi cura delle persone e comprendiamo bene il valore del sostegno e dell’aiuto.

Riteniamo che le conseguenze dell’attuale pandemia non debbano colpire né quei lavoratori che dispongono di minori tutele e il cui reddito è, purtroppo, indissolubilmente legato all’erogazione delle prestazioni, né le persone che in questo momento necessitano ancor più di relazioni di cura. Allo stato attuale delle cose, ci sembra che il Governo non garantisca la tutela della salute pubblica e un adeguato e giusto reddito a chi al momento non ce l’ha. Lo dimostra il fatto che parecchi educatori non hanno mai smesso di lavorare se non per quindici giorni di marzo, rischiando di diventare veicolo di contagio per sé, per gli altri e per i propri cari, a causa dell’assenza di protocolli di sicurezza e scarsità di dispositivi di protezione individuali.

Si aggiunge il fatto che alcune famiglie non hanno dato la loro disponibilità o sono impossibilitate a garantire il rispetto delle disposizioni minime di sicurezza, come il distanziamento, l’uso della mascherina chirurgica e l’igiene personale. Oltre alla pericolosità per la propria salute e quella dei propri familiari e alla preoccupazione di contagio tra gli utenti, gli educatori si ritrovano a fare i conti con orari ovviamente decurtati e con la conseguente necessità di dover utilizzare ferie e permessi.

In questa situazione di disagio e difficoltà di tutti, vorremmo contribuire, continuando a lavorare, sempre nel rispetto delle leggi e dei regolamenti che delineano il nostro intervento, tessendo relazioni di cura, di sostegno, di mediazione e rete tra diversi enti, a partire dalla scuola e la famiglia, per come questo ci sarà possibile. Questo è lo scopo del nostro lavoro, che sempre parte da una situazione reale di difficoltà. Anche per questo il nostro lavoro merita il 100%: non può essere misurato minuto per minuto e non può essere riparametrato come fossimo dei lavoratori a cottimo.

Chiediamo ad esempio laddove l’utenza lo permetta, l’istituzione del telelavoro. Mentre laddove il telelavoro non sia possibile, chiediamo che gli operatori svolgano le proprie ore di servizio limitando al minimo gli spostamenti, concentrandole in meno utenze possibili, consentendo così di limitare il contagio. Gli enti devono riconoscere, insieme al monte ore totale per ciascun utente che seguiamo e per ogni ora dei servizi assegnati, anche il 100% della nostra dignità professionale.

Dal momento che i Comuni sono stati messi di fronte ad una possibilità e non ad un obbligo, in queste settimane si è creata una grande disomogeneità di reddito per i lavoratori e di servizi erogati per gli utenti, a seconda delle scelte dei Comuni italiani e delle città metropolitane, che adottano ogni volta disposizioni differenti tra loro.

Siamo disponibili a svolgere, ove possibile, il nostro lavoro a distanza e chiediamo di investire le ore di non frontalità, che non riusciamo a fare, in corsi di formazione, in ore di programmazione e di confronto con i servizi, e per questo crediamo sia necessario agire a livello governativo affinché diventi un obbligo per tutti gli enti gestori l’erogazione totale delle ore che si sarebbero svolte in una situazione di normalità senza differenziazioni e senza lasciare spazi ad altre interpretazioni.

Gli educatori studiano, fanno tirocinio, si aggiornano; sono professionisti, hanno competenze, specifiche caratteristiche professionali. Non sono eroi, ma neppure samaritani che, armati di buona volontà e intuito, esercitano una professione. Non sono eroi, ma persone che combattono costantemente laddove ci sono i più fragili, i meno autonomi, i meno fortunati o semplicemente i più sofferenti. Non sono eroi, ma spendono le loro energie per lavorare in un settore per loro non produttivo da un punto di vista monetario. Lavorano in servizi che risultano vuoti a perdere per gli investimenti economici dei Comuni, delle Regioni e dello Stato. Non sono eroi, ma fanno i conti alla fine del mese, fanno fatica a mantenere le proprie famiglie, ad accendere un mutuo, a risparmiare, a mettersi in sicurezza economica, ad essere sereni nella pianificazione del proprio futuro. Non sono eroi, ma studiano e lavorano tanto e vengono riconosciuti e pagati poco. Gli educatori non sono eroi, ma ci sono ogni santo giorno dell’anno, a gestire emergenze sociali, a supportare il fondo della piramide sociale, a nuotare sott’acqua con gli ultimi. Non sono eroi e ci irrita questa definizione vuota in tale momento storico.

Vogliamo parlare della nostra situazione contrattuale? 

Contratti lasciati scaduti per anni rinnovati a danno economico dei lavoratori, non tutelanti e, per alcuni settori, addirittura offensivi.

Facciamo alcuni esempi concreti: succede spesso che recandoci a scuola l’utente da noi seguito non si presenti, e magari noi educatori non siamo stati avvertiti. L’educatore è costretto a tornare a casa, senza retribuzione oltre che senza la possibilità di poter riorganizzare la propria giornata lavorativa. Nella peggiore delle ipotesi in cui l’utente si ammala per alcuni giorni o settimane, l’operatore si trova di nuovo senza retribuzione a meno che la cooperativa non riesca a coprire le ore perse attraverso le sostituzioni, che spesso richiedono spostamenti lunghi ad orari improbabili.

A fronte di ciò chiediamo di essere riconosciuti come professionisti e di poter supportare anche il lavoro delle insegnanti di classe a servizio di altri bambini che hanno bisogno.

Con le nostre competenze possiamo essere una grande risorsa anche noi al fianco delle insegnanti. Ci troviamo ad elemosinare ore indispensabili per la programmazione dei nostri ragazzi, per accompagnarli alle uscite scolastiche e ci assumiamo spesso e volentieri responsabilità da cui spesso le altre figure professionali che ruotano attorno al bambino si rifiutano di assumersi (es. somministrazioni farmaci salvavita etc…) consapevoli che ogni persona ha diritto alla vita e a non vedere calpestata la propria dignità. Molti educatori sono impegnati anche nei servizi territoriali/domiciliari. Anche qui si ripresenta il problema: qualora l’utente sia malato, l’educatore perde le ore a meno che non vengano recuperate nel giro di sette giorni oppure vengano riconvertite con sostituzioni, sempre che ce ne sia la possibilità. Non sempre ci sono sostituzioni per tutti e non sempre gli orari possono essere incastrati, pertanto ci troviamo a dover utilizzare ferie e permessi.

Vogliamo parlare del mese di agosto?

Solitamente non siamo retribuiti se non con le ferie che riusciamo a mettere da parte con la speranza di non aver perso troppe ore durante l’anno. In questo periodo in cui siamo chiamati “eroi”, tutto viene messo in discussione, tanto che queste sono le parole delle ministra dell’Istruzione L. Azzolina a Rai News: «A luglio ed agosto metterò a disposizione locali, cortili e palestre delle scuole per realizzare i centri estivi; non ci sarà didattica e non verrà coinvolto il personale scolastico ma il terzo settore».

Noi siamo ben felici di poter lavorare a giugno e luglio, ma ci chiediamo: «A quali condizioni? Saranno garantite le indispensabili misure di prevenzione e sicurezza

Quando vedremo riconosciuto davvero il nostro lavoro e con esso i nostri diritti? La figura dell’educatore oggi si è evoluta; molti educatori sono laureati o specializzati o costantemente interessati alla propria formazione. Non si occupano più solo di assistenza, come spesso si pensa ma anche di didattica insieme alle insegnanti.

E cosa succederà passata l’emergenza? Torneremo ad essere “inutili” come prima? Chiediamo fortemente che le cose cambino. In vista di quanto sta per accadere, siamo sempre più preoccupati in quanto il nostro lavoro sta diventando sempre più incerto, precario e rischioso. Cosa succederà a giugno e a luglio? Come potremo lavorare in maniera tale che non venga compromessa la nostra salute e senza veder calpestata la nostra dignità? Riteniamo poi ancora più preoccupante la situazione dei centri residenziali e diurni nei quali tanti educatori si trovano a lavorare. Noi educatori professionali riteniamo necessario e urgente «che vengano emesse a livello ministeriale o governativo delle linee-guida sui protocolli di sicurezza e i dpi da adottare/fornire alle suddette strutture».

Molti infatti sono gli interrogativi su quali dispositivi adottare con un’utenza, ad esempio impossibilitata ad utilizzare le mascherine e a mantenere il necessario distanziamento sociale, o portatrice di condizioni potenzialmente ad alto rischio di diffusione del virus, che si trasmette soprattutto attraverso le “goccioline di saliva”.

«Alcuni studi evidenziano che in casi simili le mascherine chirurgiche, utilizzate solo dall’operatore, non forniscono adeguata protezione. Parliamo non solo di persone disabili, ma anche di anziani, di adulti o minori con problemi di salute mentale, e in generale di persone con caratteristiche soggettive che impediscono loro il rispetto delle norme di sicurezza».

Altri interrogativi emergono sulle modalità con cui deve essere effettuata la sanificazione dei locali, non solo alla riapertura ma anche in corso di attività; sul sostegno emotivo e psicologico agli operatori; sul rapporto numerico personale/utenza adeguato a contenere i rischi; sulla possibilità di attivare interventi alternativi outdoor in aree naturali protette ed attrezzate che consentano il distanziamento sociale (sulla scorta di quanto già adottato in certe realtà europee con le lezioni all’aperto e di quanto si ipotizza per il settore della età scolare); sulla oggettiva difficoltà di garantire la sicurezza negli interventi a domicilio.

L’invito a sindacati, associazioni di categoria, ordini professionali, associazioni di famigliari e di utenti, enti gestori pubblici e privati, forze politiche e parlamentari, è quello di «sostenere questa richiesta urgente».

Un gruppo di Educatori delle Cooperative Sociali – Unione Sindacale di Base

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