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Jesi “Al Cavallino Bianco”, l’operetta da tutto esaurito

Bellissimo colpo d’occhio in una serata al Teatro Pergolesi che ha convogliato al Massimo jesino una serie di appassionati, “convenuti dal monte e dal mare”

E’ vero che se ne è andata una settimana dalla recita al Pergolesi de “Al Cavallino bianco”, un’operetta che ha fatto registrare il “tutto esaurito”, in ogni ordine di posti, chiaramente, una ventata di ottimismo che ci riporta, muovendo dal detto “è un bel teatro, stasera”, a un entusiasta “bellissimo colpo d’occhio”.

L’operetta di Benatzky e Stolz ha convogliato al Massimo jesino una serie di appassionati, “convenuti dal monte e dal mare” che si sentivano in credito con quanti hanno relegato questo genere di spettacolo – particolare, gioioso, musicale, recitativo, che alla fine fa vivere tutti “felici e contenti” – ad apparizioni estemporanee, di cui si debbono per fortuna ringraziare compagnie come “Il Gruppo Filarmonico Gabrielli Campagnoli 1930” che da quella data sforna ogni anno lavori di un sicuro successo.

Ovviamente cambiando artisti nel corso degli anni, creando così un percorso storico interessante per la nostra zona in questo genere di spettacolo. 

La trama è intricata come tutte le storie d’amorequasi tutte“Al Cavallino Bianco” è il nome di un albergo che si affaccia sul lago di S. Wolfgang, e qui si dipana la storia della proprietaria, Josepha, grande donna di personalità e di bellezza raffinata, di Leopoldo, suo primo cameriere, e i vari innamoramenti dei tanti protagonisti.


Come si arriverà al lieto fine collettivo, con una mossa di scacchi ardita e ruffiana, non lo raccontiamo, perché così ci andate, se sarà riproposta una ulteriore replica. Dicevo, un gioco delle parti, che si svolge veloce come il vaporetto che attraversa il Wolfgangsee tra boschi e valli d’or. Personaggi di carattere si trascinano, al Cavallino bianco, affari personali e affari di cuore, sicuri di poter risolvere tutto “nell’hotel più bel, fra i monti azzurri ed il ciel”.

Girano i turisti, l’ostessa Josepha gestisce la quotidianità con piglio ed energia, col cuore sempre sospeso in attesa che si accenda una luce, spenta dopo che era rimasta vedova. Ha in testa colui che ritiene adatto alle sue pretese d’amore, ma si sa, anche il cubo di Rubik qualche volta non viene. A me, mai. Un via vai anima la scena, la gente in platea ride, sorride, si affeziona, fa pure il tifo, un balletto e un coro danno una vita, che non resta sospesa, fra un’aria e un brano recitato. Caratteri e personaggi si intrufolano fra le poltroncine ed i palchi, qualcuno canta le belle arie che riempiono l’operetta.

Sarebbe ingiusto fare una “classifica di merito” fra quanti hanno percorso la scena a passo di danza, cantato o declamato. Era un meccanismo perfettamente oleato dalla regia di Franco Bury e dall’orchestra “Time machine ensemble”, felicemente guidata dal pianista conduttore Carlo Morganti. Coreografie accattivanti, un bel corpo di ballo e un coro che hanno dato il meglio.

Signori, credo che pochi si siano accorti che gli artisti sono “amatoriali”: si vede che amano il teatro e l’operetta a fondo, perché creano una sinergia e una precisione nei cambi di scene e situazioni di sicura presa sul pubblico. L’ostessa Josepha è stata, e spero sarà per altre repliche, Lucia Chiatti, una presenza scenica mai soverchiante, civetteria e malizia esibite al momento giusto, una voce che dimostra la sua preparazione musicale. Con lei Leopoldo, ossia Gabriele Bernardini, quasi un “guitto” della commedia dell’arte ma al punto giusto, Giovanni Sbergamo, l’industriale Pesamenole, che ci ricorda i grandi caratteristi di cui il teatro non può fare a meno, Micaela Chiariotti, come Ottilia figlia di Pesamenole, bella personalità e voceClaudio Bartolucci come avvocato Bellati, raffinato e intrigante, e… dovremmo citarli tutti, ma sono tanti, dalle cameriere, ai ballerini, al coro.

Non ce ne vogliano se non facciamo altro che accomunarli in un applauso convinto. E ce ne andiamo cantando, ovviamente, “Al cavallino è l’hotel più bel…”

Giovanni Filosa

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