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L’ARTICOLO Reimparare a vivere con uno sguardo capace di bucare la notte


“Avere coscienza della finitudine ha un grande valore
umanistico, perché ci dona non solo il senso della
nostra appartenenza alla natura, ma anche la
compassione per tutti gli altri che, come noi, sono
mortali e in cerca di senso”

Nella svolta e all’inizio del terzo millennio non possiamo dimenticare ciò che è accaduto nel secolo precedente, il tempo in cui il mondo è stato scosso da conflitti, rivoluzioni e stravolgimenti sociali senza precedenti. (Vedi: Il Secolo breve. 1914-1991: l’era dei grandi cataclismi, di Eric Hobsbawm).

Si pensi alle due guerre mondiali, alla Shoah e ai vari genocidi attraverso le pulizie etniche, si pensi alle dittature nere e rosse che hanno lacerato il mondo intero, fino alla caduta del muro di Berlino. Il mondo ha preso una rincorsa frenetica, e con parecchi ribaltoni. E il male ha mostrato una perversità altrettanto demenziale: increduli per tante tragedie in un “secolo breve” (1914-1991) e quasi a toglierci di dosso i rimorsi per la barbarie collettiva, nella fuga nevrotica abbiamo finito per piombare in altre follie, seppure inedite.

Alla globalizzazione pervasiva luccicante e affascinante, nuovo vitello d’oro a cui affidare sogni e passioni, si è affiancata la rinascita fondamentalista delle identità, degli esclusivismi. Sono tutte emergenze a macchia di leopardo, che mettono in fibrillazione il mondo intero. (Cf. B. Secondin, La spiritualità e i ritmi del tempo, Roma 1997).

Sul crinale del millennio abbiamo inventato altro per dare una spinta al nostro pianeta già in bilico rischioso: la crisi ecologica, la rivoluzione biogenetica, la violenza dei fondamentalismi religiosi e i conflitti etnici, lo tsunami economico, le migrazioni selvagge, l’atrofia della coscienza morale, il voler fare a meno di Dio, i populismi, i nazionalismi e i sovranismi, forme di egocentrismo e narcisismo esasperato.

Ed ora in questo secondo decennio del terzo millennio sul nostro bel pianeta verdeblu sta avvenendo un fenomeno non certo insolito: un virus malefico Covid-19 (già dalla fine del 2019) infetta e semina morte, rende fragile tutto il nostro sistema di vita.

La situazione, alquanto inquietante, genera tuttora angoscia e paura; ci dice che dobbiamo cambiare strada prima che sia troppo tardi. Dobbiamo reimparare a vivere! Ma come? Da dove iniziare? È possibile ripartire dal risveglio della fede e dalla forza trainante della speranza, che noi cristiani definiamo “virtù teologali”, perché ci vengono da Dio: doni divino-umani che ci permettono di camminare verso il futuro. Papa Francesco ci ripete che «la nostra vita è come un’ancora nel cielo. L’ancora è quello che i navigatori buttano sulla spiaggia e poi si aggrappano con la corda per avvicinare il barcone, la barca alla riva… Noi abbiamo la nostra vita ancorata in cielo. Cosa dobbiamo fare? Aggrapparci alla corda. Andare avanti, sicuri, perché la nostra vita è come un’ancora nel cielo».

Quando ci troviamo in mezzo alla tempesta occorre avere il coraggio di gettare l’ancora per vivere protesi verso il futuro. La corda che lega l’ancora della fede è la speranza, la fiducia in un possibile salvataggio, anche senza affrettare la riuscita, ma con la caparbietà di chi sa che occorre osare…andare… e ancorare la barca.

Ci dicono i marinai: «Non lanciare l’ancora fuoribordo; calala lentamente per evitare che colpisca la cima stessa». È impossibile!

L’umanità, con la sua instancabile operosità, l’intelligenza e generosità, sa che la salvezza attraverso la metamorfosi sebbene improbabile, non è impossibile. Ma la speranza non è che un’illusione se ignora che tutto ciò che non si rigenera, degenera. Tutti sappiamo che non dobbiamo arrenderci, dobbiamo essere solidali e responsabili, ritrovare nel cuore della nostra quotidianità la gioia di vivere per non degenerare, mettere in atto tutte le nostre potenzialità per creare un futuro i cui semi sono già qui e ora!

Il possibile nell’impossibile lo abbiamo già visto nei gesti di uomini e donne che non hanno smesso e non smettono ancora di operare per il bene di tutti, nelle parole autorevoli di Papa Francesco, in tutti coloro che operano e lottano nella verità per superare questa pandemia.

«La vita è una navigazione in un oceano di incertezze attraverso isole di certezze. Anche se celata o rimossa, l’incertezza accompagna la grande avventura dell’umanità, ogni storia nazionale, ogni vita individuale. Perché ogni vita è un’avventura incerta: non sappiamo prima quello che ci attende né quando arriverà la morte. Facciamo tutti parte di questa avventura, piena di ignoranza, ignoto, follia, ragione, mistero, sogni, gioia, dolore e… incertezza» (E. Morin 1 ottobre 2020, La Repubblica).

L’incertezza è l’esperienza dei discepoli di Gesù, quando una «grande tempesta di vento con le onde si rovesciarono nella loro barca». È questa l’icona che Papa Francesco ha usato il 27 marzo 2020, nella solitudine di quella sera piovosa in Piazza San Pietro abitata solo dal grande Crocifisso di San Marcello.

«La barca era ormai piena delle onde del mare – narra il Vangelo di Marco – Gesù se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?» (Mc 4,35-40).

È la verità e la forza dell’essere tutti abitanti della stessa grande barca, che attraversa gli oceani della storia presente e futura, ed è misteriosamente abitata da Colui che grida il dolore di chi non ha più la forza di salirci e annega nelle onde minacciose del male che uccide. E proprio il cammino quaresimale è la navigazione verso il porto sicuro della Pasqua-pienezza di vita. Tra venti contrari e tempeste improvvise incontreremo il Salvatore Crocifisso, che grida ancora per noi «Padre non ci abbandonare».

Ci troveremo immersi nella luce del Risorto, che ripete a tutti noi: «Non temete, sono con voi lungo i sentieri della vita, nel buio delle prove, in tutti i gesti d’amore, anche nella morte».

Custodiamo uno sguardo capace di bucare la notte e tanta apertura di cuore!

Anna Maria Vissani

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